Il libro delle avventure perdute è un libro sorprendente e ammetto di arrancare nel tentativo di descriverlo compiutamente.
Nato su un espediente letterario che vuole che le pagine fittamente illustrate e annotate siano il contenuto di decine di taccuini, diari e blocchi da disegno di un anonimo avventuriero e artista, il libro nelle sue 192 è uno zibaldone eclettico, prezioso e bellissimo.
Non pensate di trovarvi di fronte a una guida o a un testo divulgativo e sorvolate sull’indice (che pure c’è). Le notizie sono infatti sparse tra le diverse pagine, quasi disordinatamente, le stesse spesso cambiano orientamento (orizzontale-verticale) e non è identificabile chiaramente una gerarchia delle titolazioni. Non c’è sistematicità: è come se l’autore si ricordasse di citare alcune cose o si sentisse in dovere di esplicitare qualche raccomandazione proprio mentre ricorda l’episodio particolare in cui quella stessa raccomandazione gli ha salvato la vita. I titoli stessi e l’indice non funzionano sempre con esattezza: sembra piuttosto un collage di appunti e schizzi organizzati tematicamente a posteriori da qualche curatore.
Gli aneddoti squarciano le pagine più tecniche (che sono le più numerose!) con brani letterari che sanno lasciare con il fiato sospeso, così come gli schizzi in bianco e nero lasciano spesso spazio a tavole ad effetto, vertiginose ed emozionanti.
«Mi svegliai di soprassalto, al buio, frastornato. Per un attimo pensai che fosse un sogno, poi sentii il terreno pietroso che mi graffiava la schiena, e vidi la tetra forma ingobbita di una iena, con la sua mascella che mi serrava la gamba destra. Potevo sentire le altre che sghignazzavano frementi, con gli occhi scintillanti nel buio».
Non mancano, poi, documentazioni folcloristiche che rendono ancora più convincente la finzione dell’avventuriero perduto («questi sono alcuni dei rifugi e delle case che ho incontrato durante i miei viaggi tra nomadi e tribù indigene… Nelle Ande, in Sudamerica, si trova il lago Titicaca. Qui vivono gli Uros, che coi giunchi fabbricano sull’acqua le loro incredibili case galleggianti») e frasi ad effetto quasi scritte velocemente, al loro formarsi, sotto grandi tavole riprodotte lentamente, in un esercizio di contemplazione («Le più grandi scoperte iniziano con un viaggio»).
Ciò che colpisce immediatamente è il tono narrativo che si rivolge direttamente ed esplicitamente ai ragazzi: l’anonimo avventuriero contempla sul serio la possibilità che voi possiate trovarvi di notte in tenda ad osservare gli occhi brillanti di un giaguaro, a dover cucinare un caimano bel mezzo della giungla o addirittura accamparvi in una zona di guerra pronti a fuggire all’improvviso, di notte. Ecco, questa è la cifra della narrazione: tu, ragazzo di 10 anni, puoi fare tutto, puoi scegliere di imparare a costruirti una zattera, perché tu puoi pensare di partire all’avventura, oggi. Non si può rimanere impassibili di fronte a questa possibilità che viene quasi sottesa, come se fosse l’opzione più prevedibile del mondo: si viene inglobati dal racconto e, a differenza dei manuali di sopravvivenza che si consultano a spot – relativamente all’argomento che interessa in quel momento – non si riesce a smettere di leggere quello che si rivela come il racconto di un’avventura unica che si dipana, letteralmente, in mille appunti sparsi.
L’obiettivo di questi scritti è chiaro: rendere i lettori capaci di intraprendere e superare qualsiasi avventura. Questo significa saper usare i coltelli, sapersi costruire una zattera, essere in grado di assemblare un rifugio in cui stare al sicuro, sapersi mimetizzare, essere in grado di fronteggiare una tempesta di sabbia e una valanga, ma anche semplicemente accendere un fuoco e fare la cacca in ogni condizione, anche le più avverse.
L’avventura però non è fine a se stessa, ma è invece improntata in modo emozionante alla ricerca e al godimento della bellezza: l’autore lo ripete spesso, invitando i lettori a contemplare e a godere di tutto ciò che incontrano, vedono e vivono. Il tono è a volte pratico e rigoroso, altre volte poetico e altre volte ancora pragmatico e molto poco romantico:
«Il bushknife è un ottimo coltello, molto duttile ideale per intagliare, tanciare le cordee preparare il cibo. Il manico è realizzato secondo la tradizione scandinava. Quest’incavo impedisce alla vostra mano di scivolare verso la lama. [...] Il cerchio del sangue: considerate sempre una zona di sicurezza. Tracciate un cerchio immaginario attorno al vostro corpo quando state usando il coltello, e fate in modo che nessuno vi entri».
«Il delicato sfarfallio di una fiamma avvolse un ramoscello secco e poi un altro… fino a crescere. Attorno al muschio e alle foglie umide danzavano in cerchio nuvolette di fumo. Il fuoco sibilava e scoppiettava, regalandoci nuove fiamme che saltellavano nella notte. Avevo già visto tante volte quello spettacolo, ma non me ne stancavo mai».
«[fare la cacca all’aperto] Rami: se ne trovano in quantità e sono una buona opzione di emergenza. Usate bastoni lisci e arrotondati. Prima togliete la corteccia. Le ferite al sedere sono una tortura. Se potete cercate di salire in alto: non c’è niente di meglio che farla guardando il panorama».
Quella che si delinea pagina dopo pagina, ripercorrendo i luoghi idealmente percorsi dall’autore, è una geografia degna di una vita più che avventurosa: Guyana, lago Malawi, Monti Yan, Amazzonia, Cina, deserto della Namibia, Circolo polare artico, Svalbard, fiume Amur, grotte del Nilgiri nel Tamil Nadu, Polinesia, Carpazi, Canada… tuttavia le indicazioni non disdegnano le avventure nel giardino di casa o magari sopra una casa sull’albero.
Occorre aggiungere che non si tratta di un manuale vintage dell’esploratore con caschetto e stivaloni: i riferimenti a materiali ed equipaggiamento moderno e all’avanguardia non mancano, anche se questi non sostituiscono le infinite risorse che la natura ha sempre offerto e sempre offrirà agli avventurieri.
Spesso le immagini sono deittiche e riproducono quelli che dovrebbero essere stati oggetti appartenuti all’autore, affiancate però anche a viste ritratte dal vero. Una certa rigidità e ingenuità di alcuni dettagli sostiene la finzione iniziale di un illustratore non professionista, ma nulla toglie al fascino che queste pagine sanno regalare ai lettori, pur nella densa e variegata quantità di nozioni tecniche: tutto è disegnato a matita, nulla è piatto, niente è perfetto ma tutto è unico e verosimile.
Le indicazioni, spendibili o meno (non so se userete mai un machete!), sono date tra pari anche se il pubblico prescelto è, appunto, più giovane (dai 10 anni). Tuttavia gli interlocutori non sono trattati con condiscendenza e questo rende il volume davvero incisivo e con un fascino indimenticabile.
Che altro dire (dopo tutta questa recensione, sembra una presa in giro)? Spero di essere riuscita a comunicarvi almeno un bagliore della quantità e della qualità delle storie e delle immagini che questo volume custodisce: un regalo per tutti gli avventurieri veri che conoscete, quelli che partirebbero oggi.
P.S. L’unica nota negativa riguarda il corpo del carattere delle didascalie, che a volte è davvero molto piccolo!