La dimensione della narrazione per immagini, silenziosa, senza parole stampate permette alle storie di avanzare senza che ci siano dei confini, circoscritti inevitabilmente dalla scelta lessicale.
Per questa ragione, uno dei momenti più descritti da questo tipo di libri è quello del gioco, in particolare del gioco immaginifico.
Oltre ad una serie di gesti, ciò che definisce il gioco è la ricchezza del mondo interiore, il desiderio di usare l’immaginazione.
Ne è un esempio perfetto È permesso di Elena Rossini e Irene Penazzi che racconta il gioco di cinque fratelli in una giornata che possiamo immaginare estiva (i bambini sono tutti i vestiti in modo molto leggero), ma piovosa che li costringe a giocare all’interno.
Al centro dei progetti c’è un gioco che non perde mai perde il suo fascino, generazione dopo generazione, ovvero la costruzione di case-rifugi-fortini grazie a tendaggi, coperte, cenci, qualche sedia e le immancabili mollette dei panni.
Costruito il rifugio, multicolore e malformato, i bambini scompaiono inghiottiti nei meandri di questo nuovo mondo. Da questo istante la narrazione avanza sempre uguale a se stessa inquadrando il rifugio apparentemente sempre uguale a se stesso, ma in realtà sempre un poco diverso, pagina dopo pagina, e una serie di personaggi che nel bianco della pagina accanto si avvicinano e chiedono: «È permesso?»
La medesima scena si ripete senza dare indicazioni su cosa sia successo alla persona che aveva chiesto di entrare né su cosa accada dentro al rifugio.
Il fortino di cenci sembra inghiottire silenziosamente ogni avventore, senza lasciare tracce: dalla nonna all’uomo delle pizze, dalla mamma con il neonato in fascia, allo scalatore…
A questo punto, grazie allo stratagemma di una doppia pagina che si apre viene permesso ai lettori di scoprire cosa succeda all’interno del rifugio: l’impressione è quella di spalancare un universo contenuto all’interno di una montagna di cenci così chiaramente piccola nei suoi confini. C’è una sproporzione tra tutto ciò che si vede e quello che accade!
Se non fosse chiaro che il confine è dato proprio dalla costruzione di questo accampamento di tendaggi, la pagina successiva ribadisce che tutto è contenuto da quelle poche coperte e ancora una volta ci permette di aprire una doppia pagina per accorgerci che l’universo di giochi e di attività in svolgimento è davvero sconfinato.
Che cos’è il gioco? Che cos’è il tempo del gioco? Che cos’è lo spazio del gioco? Questo silentbook (lo definiremo così anche se lascia spazio alle domande scritte di chi vuole entrare) permette di percepire tutto ciò.
Le immagini restano sulla superficie dell’osservazione, ma fanno intuire nella loro “incoerenza” tra dentro e fuori che c’è molto di più.
Racconta ugualmente del potere dell’immaginazione e del gioco, forse in questo caso più intimo, La matita dell’artista coreana Hyeeun Kim.
Il libro mi colpì molto, qualche anno fa, e riuscii a portarmi a casa una copia dallo stand coreano della fiera di Bologna (i silentbook hanno il grande potere di poter essere letti in lingue anche molto lontane!). Il libro si apre in un significativo dialogo tra la sovraccoperta, abitata da una lussureggiante foresta, e la copertina rigida del libro dove appare ritratta una matita verde ancora da temperare, cosa che avviene nella prima pagina della storia. Il truciolato cade lieve, come petali, anzi come foglie e va ad abitare i rami di un albero che in un attimo diventa vivo e lussureggiante.
Da vicinissimo il campo di osservazione si apre su una foresta rada di piccoli alberi, ognuno diverso, ognuno colorato da tinte meravigliosamente differenti. Di più, sempre di più, il bosco si affolla di vita, colori, forme.
Poi un vento scompiglia le foglie, storni di uccelli di tutti i tipi si alzano in volo quasi prendendo vita, dalle foglie colorate sferzate dal vento. È un turbine cromatico quello che si alza nel cielo.
Gli alberi sono stati abbattuti. Rimangono a terra i ceppi come punte di matite colorate, i fusti come altrettante matite gigantesche vengono portati via verso un’industria che fuma colore e che trasformerà i tronchi in matite colorate.
Ben ordinati e fiammanti i tronchi-matita aspettano in un negozio di matite colorate: arriva una bambina e compra una matita verde.
Armata della sua matita la bambina raggiunge i ceppi rimasti monchi e con pazienza disegna sopra ad ognuno il suo tronco, le sue fronde, le sue foglie… una foresta.
In fondo per dare vita, basta piantare… una matita in un terreno fertile.
Le illustrazioni fini e gentile dell’artista coreana sono percorse dall’aria, dal vento e dal silenzio, non solo apparente. Eppure in ogni pagina vibra la vita del mondo naturale e dell’arte che dalla natura trae le sue risorse per raccontare il mondo.
Due silentbook pieni di gioco e di pensiero.