Le poesie di Giusi Quarenghi raccolte in La capra canta sono principalmente poesie di parole, poesie che giocano con le parole, che usano la parola nella fisicità del suo vibrare nella bocca di chi legge. Ma sono anche poesie di mani, perché le illustrazioni di Lucio Schiavon, sottolineano - chissà se volutamente - questo aspetto fisico che rende in modo superbo il senso profondo della voce della poetessa che in questi componimenti è come se afferrasse, stringesse, palpasse le cose intorno, creando un piccolo scrigno di quotidianità reale e tangibile.
Allitterazioni, anafore, ripetizioni… la struttura del verso si spezza per diventare a volte scioglilingua, a volte discorso, a volte dialogo, a volte piccolo monologo, a volte strofe strutturate, ma senza prendersi troppo sul serio.
Si ritrovano con gli andamenti poetici tipici della poesia orale e delle conte che prevedono a volte la recita dei versi a voce alternate e che mantengono in un ritmo incalzante che non prevede pause:
«Vacanze al mare, quanto sudare
vacanza ai monti, troppi tramonti
vacanza al lago, ma dov’è il drago?
vacanza a letto, brutto scherzetto
vacanza con te, povera me
vacanza in città, mi tocca stare qua
vacanza in solitaria, gioco con l’aria
vacanza in compagnia, o mi piace o vado via»
Lo spazio della poesia diventa luogo dove Giusi Quarenghi recupera quella dimensione infantile dove la potenza dei bambini si sprigiona in gioco, ovvero in immaginazione.
Le piccole avventure e disavventure della vita (dal Natale alle stagioni, dai fiori ai cani, dai fratelli al sonno…) diventano il pretesto per poter immaginare e far scaturire immagini che emergono senza soluzione di continuità da quel momento preciso e molto reale: capita così che mentre si è ammalati si pensi di essere dei pesci nel mare.
È interessante che la prima persona si imponga nelle poesie (io io io): questa prima persona si impone come onnipotenza dei bambini che possono tutto (e badate che questo poter tutto, significa anche poter avere terribilmente paura!).
L’adulto appare ogni tanto come voce quasi dissonante, nella raccolta, che invece sembra limpidamente dar voce (argentina) ai bambini. Non c’è falsa retorica, quando gli adulti prendono la parola, ma è evidente che la loro voce lasci che a parlare sia quell’aspetto di loro più reattivo - che non è infantile - ma è proprio capriccioso.
Lucio Schiavon riesce a imbrigliare le parole e le immagini semantiche in colori ed illustrazioni brillanti e naïf, certamente eccessive e per nulla quiete: le immagini sprizzano vita in ogni tocco, sono inaspettate, in movimento, rumorose, eccessive… sono inattese come le cose che riescono a intravedere i bambini nella realtà. E, aspetto per nulla trascurabile, le illustrazioni hanno una vita propria che permetterà a chiunque di poterne godere, anche magari non sapendo per nulla leggere!
«Se riesco a fare i baffi alla maestra
allaccerò le stringhe alla finestra
taglierò le unghie alle scodelle
e laverò i denti alle piastrelle
soffierò il naso al lavandino
pulirò le orecchie al pentolino
e dirò stai zitto al pavimento
poi farò il bagno al vento
[…]»
Mani grandissime appaiono in queste figure, mani che sono il luogo in cui la realtà entra in contatto viscerale con l’io: la vita viene presa, toccata, manipolata, strappata, schiacciata, stretta dalle voci infantili di questa raccolta.
Perché leggere la poesia? Perché acquistare questa raccolta?
La poesia non ha ragioni che possiamo lucidamente elencare, ma la lettura di questa raccolta sa regalare un’energia felina di chi agguanta la vita per la coda.
Per lettori inquieti dai 6 anni.