Per scrivere la storia di Aldobrando bisogna essere coraggiosi. O meglio. Bisogna essere coraggiosi per pensare e far nascere un personaggio come Aldobrando, perché Aldobrando è un puro di cuore, un ragazzo semplice e integerrimo e il suo autore lo cala in una storia e in un contesto, quello medievale, imbevuto di violenza.
Ammetto di non sapere nulla del suo celeberrimo autore, Gipi, quello che so è che appena si intuisce il candore di questo protagonista, la paura che possa accadergli qualcosa di terribilmente brutale, ti incolla alle pagine e ti consuma e questo credo sia il segno insindacabile di una storia ben scritta, coinvolgente e che ha qualcosa da raccontare.
La graphic novel, Aldobrando, si apre in medias res sotto un’acqua scrosciante: le prime pagine procedono lentamente ma inquiete, come il cavallo nervoso che cammina sul posto; sopra un personaggio incappucciato che della pioggia non sembra avere quasi percezione. C’è un bambino in ballo, Aldobrando, che viene affidato ad un vecchio stregone: capiamo che il padre, il re, sta andando a morire ferocemente per una legge (anche morale) che lo obbliga a non tirarsi indietro di fronte alle ingiustizie e alle sfide. Intuiamo, non capiamo, ma i volti ci interrogano: che sguardi, inequivocabili e intensi!
Quando ritroviamo Aldobrando cresciuto, per uno stereotipo fiabesco, ci aspettiamo di incontrare un meraviglioso giovane pieno di virtù e doti, e invece la consapevolezza che si fa strada nel lettore è che forse questo giovane sia più simile ad uno sciocco babbeo che ad un eroe ad alto potenziale. Un ragazzo che non sa distinguere la destra dalla sinistra, che non riesce ad ordinare un pensiero dietro all’altro, che non riesce a contare e probabilmente neanche a prendersi cura di se stesso. E proprio mentre il vecchio stregone lo guida a compiere un incantesimo, un disastro, causato proprio dal giovane, sembra rompere un equilibrio già precario:
«“Maledetto imbecille! Corri subito fuori e cercami l’erba del lupo! Senza cura l’occhio si infetterà, diventerò cieco e morirò! E tutto per colpa tua! […] Corri Aldobrando. Trova l’erba del lupo. Lascia la casa. Corri il mondo”».
E Aldobrando senza un attimo di esitazione, vestito solo dei suoi poveri cenci e con uno spadino di legno in mano, esce, corre fuori nella neve dell’inverno. Capiamo in quell’istante che, nel mezzo della povertà di ogni dote, in questo giovane rifulge il candore, puro. Aldobrando è un puro di cuore, un candido che va in mezzo alla neve perché il suo maestro ha bisogno di aiuto. Diventerà un mantra per lui, la missione della sua esistenza trovare quest’erba per poter salvare il suo maestro! Ben presto capiamo che l'innocenza di Aldobrando si scontra con una società basata su ben altri valori. In un Medioevo che ricorda molto l’immaginario di Games of Thrones, la violenza imperversa e non ci metterà molto a travolgere il nostro protagonista che, con uno sguardo interlocutorio e disarmante, si fida di chiunque gli si pari davanti. Finirà dunque, per una serie di sfortunati ma quasi inevitabili eventi, rinchiuso in una prigione, accusato di assassinio rischiando di essere scuoiato vivo e torturato. Ma non pensate di trovarvi davanti ad un inconsapevole stolto, perché Aldobrando nella sua semplicità mette alle strette chiunque incontri con i suoi “perché” schietti, diretti, infantili e così veri. E le persone che conservano un cuore vivo di fronte ai “perché” di Aldobrando e alla sua umanità pura rimangono toccati. È il caso della regina e del pluriomicida, è il caso del traditore e della schiava. La vicenda è ricca di colpi di scena, intrecci primari e secondari, fili narrativi che si aggiungono, che scompaiono che fanno capolino e poi deviano. Il ritmo diventa incalzante: fughe, ritrovamenti, evasioni, carceri, intrighi, omicidi… In tutto questo intrecciarsi di eventi, Aldobrando terrà dritto il suo timone verso quella che sente la sua responsabilità: trovare l’erba del lupo, essere utile, o meglio rispondere al suo maestro.
Solo una tremenda ingiustizia (o un amore) saprà distrarlo momentaneamente dalla sua ricerca. Aldobrando ancora una volta, coperto solo dai suoi stracci si dirigerà a salvare l’innocente Regina, solo, smilzo, sprovveduto di fronte ad un esercito ben più sgamato di lui: solo a combattere nella fossa come fu il destino di suo padre. E non saranno fuochi d’artificio magici a salvargli la pelle, niente di artefatto o appiccicato. C’è una forza che muove più cuori di una spada.
Le illustrazioni, gli sfondi, gli sguardi sono intensi, ruvidi, duri, sconsolati, doloranti, tronfi… Non c’è retorica nelle immagini - così come nelle parole - non c’è esagerazione, nulla si presta all’amplificazione fine a se stessa, anzi la coerenza, la precisione di immagini e parole crea un mondo convincente e persuasivo, un mondo di cui il lettore intuisce leggi e regole e nel quale comprende Aldobrando rappresenta un’originalità fragile e impensabile. Anche la violenza non è mai gratuita né nelle parole e tanto meno nei gesti, ma incorniciata da un contesto storico preciso e documentato.
Il finale - che grazie a Dio è un finale intenso ma non drammatico - scombina le carte in tavola un’altra volta e dà un ulteriore contributo di lettura a questo viaggio ricco di peripezie, che sicuramente si caratterizza come un Bildungsroman, un romanzo di formazione, ma formazione di chi?
Una celebrazione dell’umanità viva, sofferente, provata, sporca, lurida, traditrice, omicida eppure naturalmente spinta all’ideale di vero, alla speranza, all’amore, al riscatto, alla vita bella e vera. Un proposta tosta per ragazzi dai 10 anni.