Frank Lyman Baum, Il meraviglioso mago di Oz

Frank Lyman Baum, Il meraviglioso mago di Oz

Il meraviglioso mago di Oz, uscito nel 1900, segna in modo indelebile la storia della letteratura per l’infanzia americana. A scrivere questo romanzo, il primo di una saga che conta altri 13 volumi, che verrà poi continuata da altri autori e che trova corrispettivi autonomi anche in altre tradizioni letterarie (come in Russia), fu Frank Lyman Baum, uomo dalle mille vite e dagli infiniti interessi.

Come spesso accade, approfondire la vita degli autori offre uno sguardo diverso sulle loro opere, e ripercorrere la vita di Baum significa letteralmente reincontrare i personaggi che si trovano nel suo famosissimo romanzo: dal paese di porcellane (Baum fu per lungo tempo rappresentante di una ditta di porcellane), all’uomo di latta (il padre di Baum ebbe un’impresa di lubrificanti per auto) fino alla strabiliante e luccicante città di Oz, che certamente fu immaginata da Baum quando visitò come reporter la città dell’elettricità di Edison, allestita nel 1906 a Chicago, in occasione della prima esposizione universale.

Il meraviglioso mago di Oz nacque così, come sunto di una vita sempre in viaggio e impegnata in mille attività, che trovava nel momento della bedtime stories la sua realizzazione: l’autore, infatti, una volta tornato a casa, raccontava le sue avventure ai suoi quattro figli, per farli addormentare.

Alla pubblicazione del romanzo, un progetto autofinanziato da Baum e William Wallace Denslow, un libro a colori che all’epoca costituiva una vera e propria novità, nessuno si aspettava il successo che ebbe: 90.000 copie vennero vendute subito, risultò il bestseller del Natale del 1900 e divenne ben presto un musical che sbancò a Broadway per 293 serate consecutive. Da quel momento nulla sarà più come prima. Baum scrisse altri numerosi romanzi, ma il suo destino sarà per sempre legato al regno di Oz, perché si attivarono intorno a questa storia dinamiche che appartengono forse più alla contemporaneità e che lo costrinsero a qualcosa che forse non si aspettava! I giovani fan e i lettori del romanzo, infatti, non gli diedero tregua fino a che non fu scritto un seguito del primo romanzo, e dopo di esso un altro seguito e così via per 14 volumi.

I figli e i biografi ricordano come la pressione di questo destino soffocasse in parte l’eccentricità esplosiva dello scrittore: «Non c’è proprio niente da fare, davvero. I bambini non vogliono che smetta di raccontare le storie della terra di Oz. Io ne conosco molte altre, e spero che mi riuscirà di narrargliele, un giorno l’altro; ma in questo momento i miei deliziosi tiranni non me lo permettono».

Che cosa determinò questo successo? Che cosa lo ha reso il classico che ancora oggi è?

Il meraviglioso mago di Oz è certamente un romanzo figlio del suo tempo e anche del suo Paese, gli Stati Uniti, che la dichiarazione di intenti che apre il romanzo testimonia lucidamente:

«Folklore, leggende, miti e fiabe hanno seguito l’infanzia nel corso dei tempi, giacché ogni sano adolescente ha un naturale e istintivo amore per le storie fantastiche, meravigliose e evidentemente irreali. Le suggestive fiabe di Grimm e Andersen hanno dato ai cuori dei bambini più felicità di qualsiasi altra creazione umana. Eppure le fiabe vecchio stile, utilizzate per generazioni, possono ora essere considerate “storiche” nella biblioteca dei ragazzi; è ormai venuto il tempo per una serie di più nuove “fiabe meravigliose” nelle quali lo stereotipo del genietto, del nano e delle fate siano eliminati insieme a tutti gli episodi orribili e raccapriccianti inventati dai loro autori per sottolineare in ogni racconto una morale che spaventi. La moderna educazione include l’insegnamento morale, per cui il bambino moderno cerca nei suoi racconti straordinari soltanto lo svago e fa con piacere a meno di tutti gli episodi sgradevoli. Con questo pensiero ben presente in mente, ho scritto la storia del Meraviglioso Mago di Oz solo con l’intento di far piacere ai bambini di oggi. Esso aspira a essere una fiaba modernizzata nella quale sono stati conservati la meraviglia e la gioia e sono stati eliminati angosce e incubi»

Baum concentra in queste pagine lo sguardo che gli uomini avevano allora sul futuro, su un nuovo secolo che si apriva e che immaginavano pieno di benessere e di possibilità, in una patria, come l’America, dove tutto era sempre stato possibile e dove l’immaginazione, il bizzarro, il superfluo potevano reclamare il diritto di esistere.

Una nuova fiaba che scaccia via da sé il perturbante e la paura, che non vuole vedere il male e che per farlo accetta l’illusione felice dell’apparenza.

Negli Stati Uniti, il luogo che ha visto la città di Edison brillare con tutta la sua carica innovativa per poi essere smantellata pochi mesi dopo, nasce la città dove tutto sembra qualcosa che non è, una città che mostra la sua sfavillante meraviglia solo se si inforcano degli occhiali speciali che colorano di verde quel che c’è.

Ci sono tutti gli elementi per capire come questo libro sia eccezionale sotto diversi punti di vista, ma la sua maggior forza sta nella sua antesignana leggerezza, nel suo staccarsi in modo netto e consapevole da ogni pretesa educativa e didascalica per creare qualcosa che i bambini non avevano mai incontrato prima di allora: un luogo dove la magia dell’immaginazione ha libero sfogo senza che nulla appaia a turbare questa serenità.

La storia di Dorothy, strappata gentilmente da un tornado alla sua povera e grigia casa in Kansas, e ritrovatasi in un mondo fatato, non ha infatti nulla della tensione e del dramma dei grandi romanzi di formazione dell’età vittoriana.

Dorothy è una ragazza molto semplice, la cui dote principale è quella di avere la testa sulle spalle e di essere capace di tirarsi fuori dalle situazioni spiacevoli con ragionevolezza ma senza brillare in slanci di eroismo o di coraggio – nulla che vedere con la contemporanea Alice di Carroll.

Accanto a lei, nel viaggio che affronterà per tornare a casa, le si affiancherà una compagnia bislacca: uno spaventapasseri senza cervello, un boscaiolo di latta senza cuore, che tanto ricorda un automa, un leone senza coraggio: figure profondamente insicure e deboli che condividono con lei la pratica capacità di rimboccarsi le maniche e darsi da fare.

Ciò che accade lungo il viaggio è sorprendente, impensabile, stupefacente: è come trovarsi in un grande luna park dove, dietro ogni angolo, è possibile trovare una nuova attrazione o un nuovo intrattenimento. L’avventura sul fiume, il campo di papaveri, il salto del burrone creano certo una piccola tensione ma non è che il brivido che regala una innocua giostra. A differenza del lungometraggio del 1939 con Judy Garland, che lasciò probabilmente nell’immaginario collettivo alcune scene spaventose spesso legate alla strega, il romanzo non ha nulla di spaventoso e anche la strega cattiva, uccisa inavvertitamente con una secchiata d’acqua, non riesce minimamente a far rabbrividire i lettori!

L’arrivo alla meta, Oz, dove si dice abiti il grande mago capace di riportare Dorothy in Kansas, di donare il coraggio al leone, il cuore all’uomo di latta e l’intelligenza allo spaventapasseri è l’ennesimo scontro con l’illusione: nulla è come sembra, tutto è un gioco, tutto è intrattenimento e il mago non è altro che un illusionista fanfarone dotato di marchingegni e trucchi di scena.

E sebbene, ancora una volta, Dorothy si faccia andar bene quello che è successo, trovando una soluzione che forse era sotto i suoi occhi dal primo momento, il lettore probabilmente inizia a percepire che ciò che è davvero perturbante in questo romanzo è l’impressione di essere traditi nella fiducia.

La grandezza di questo romanzo e la ragione per cui tutti dovrebbero leggerlo, una volta nella vita, sta nella capacità di lasciar spazio allo sguardo fiducioso nelle trasformazioni tecniche e nell’evoluzione dell’uomo, uniti all’esuberante fantasia che Baum riversò tra queste pagine, creando un mondo magico coerente dall’inizio alla fine, con personaggi che si staccano dalla tradizione fiabesca, vestendo abiti e forme mai viste prima di allora.

Tutto è orchestrato perfettamente: il cagnolino Toto (che non va perso di vista, perché sua sarà la cruciale funzione di deus ex machina) i diversi popoli, le scimmie, le streghe e le fate che si incontrano tra le pagine.

La lingua di Baum è stata accusata di essere molto semplice ed è spesso stata tradita da traduzioni che hanno amplificato un lato bamboleggiante che non gli appartiene: la scrittura dell’autore statunitense è paratattica e semplice, ma molto suggestiva e piena di neologismi inaspettati.

Una storia da incontrare, perfetta da ascoltare dai 5 anni in su.

[shareaholic app="share_buttons" id="15118398"]
Il mago di Oz Lyman Frank Baum - William Wallace Denslow - Nini Agosti Castellani (traduzione) Anno 1978 Editore Rizzoli
Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *