Cucinare per qualcuno è uno dei modi più elementari per prendersi cura di qualcuno e noi italiani lo sappiamo bene.
Mia madre, ad esempio, nonostante io e mia sorella non abitiamo più in casa, continua a cucinare porzioni di cibo che ci includono dei numeri delle persone da sostentare, con l’effetto (assai gradito, in verità!) di essere accompagnati da scatole di cibo variamente etichettato o pronto per la la congelazione ogni volta che andiamo a cena dai miei genitori.
Il cibo si presta, dunque, ad esprimere l’affetto verso l’altro o quantomeno la disponibilità ad un rapporto (con quanti amici si è condivisa la merenda!). Da questa universale esperienza credo nasca Una festa in via dei GiardinidiFelicita Sala, libro non a caso dedicato alla madre: «la cui porta è sempre aperta, la cui tavola è sempre piena». Eh sì, perché se si mangia insieme, anche la porta di casa deve essere aperta!
«Che buon profumo al numero 10 di via dei Giardini: odori deliziosi, che sanno di festa».
A partire da questo incipit, ogni coppia di pagine successive ci accompagna in un appartamento: a sinistra uno scorcio delle persone al lavoro (con molti bambini che “collaborano”) presentate sinteticamente («al pianterreno Maria schiaccia gli avocado con una forchetta»), e a destra bellissime e grandi illustrazioni degli ingredienti seguite dal titolo del piatto e dalla ricetta.
Il viaggio tra le ricette del mondo però non corrisponde ad un viaggio geografico e ad una volontà divulgativa, molto più significativamente il nostro viaggio gastronomico si svolge all’interno di un condominio francese, forse leggermente idealizzato nella varietà dei suoi inquilini, ma neanche poi troppo.
Non troverete bandiere nazionali o protagonisti in abiti tipici, non troverete neanche indicata l’origine esplicita di ogni ricetta: gli scorci delle diverse cucine sono simili anche se evidentemente abitati da persone di nazionalità differenti, sono i dettagli (il quadro di Picasso, la Madonna che ricorda Guadalupe, il gatto che saluta...) e forse le caratteristiche somatiche a darci qualche indizio. In alcuni casi però neanche questi bastano (i bambini che preparano le polpette?), ma questo è il bello: il mix di sapori e piatti si mescola a prescindere dalla provenienza. Alcune cucine hanno più ricette (ad esempio quella francese) e altre nazionalità non sono minimamente contemplate e questo non deve destare disappunto: il fine - dicevo - non è quello di essere esaustivi o parlare delle cucine del mondo, ma quello di mostrare la ricchezza e le potenzialità che ha il cibo, nella nostra realtà quotidiana, di creare legami e nuove comunità.
Le ricette sono scelte tra le più semplici ed immediate (Guacamole, Mini quiche, Dahl al latte di cocco…) anche forse tra le più spendibili tra commensali non avvezzi ad un determinato tipo di cucina, proprio come se di protagonisti si fossero messi ai fornelli con l’obiettivo di arricchire il picnic condominiale, come poi è!
Il libro mi è molto piaciuto nella sua interezza proprio per questa impostazione che lo rende spendibile come ricettario di piatti del mondo da cucinare insieme ai bambini, ma anche per la scelta di incorniciare il tutto in una narrazione che si conclude - come avrete immaginato - a tavola e che permette ai lettori di godere anche dei diversi quadri familiari, di osservare la molteplicità degli ingredienti e magari di immaginarsi e raccontare tutto quello che i testi non esplicitano.
Le illustrazioni di Felicita Sala sono splendide, calde, accoglienti, colorate, pastose…: il suo stile e la sua tecnica mi piacciono molto.
Un libro originale che racconta di integrazione più di quanto voglia farci credere, un invito a sbirciare fuori dalla porta - perché no?! - e che può essere una lettura apprezzata dai 6 anni in su.
«Prendete una sedia e procuratevi un piatto. Tutti sono i benvenuti al numero 10 di via dei Giardini».