Si avvicina il Natale e, nel furore di questi giorni che lo precedono, ho trovato un invito interessante a riflettere nel titolo di un albo a firma di Federica Ortolan e Emanuele Benetti: Quello che conta.
L’autrice offre infatti la sua riflessione attraverso un’iperbole, utilizzando una struttura che ricorda quella della fiaba e conducendo i lettori di fronte ad un diretto interrogativo: cosa conta davvero nella giornata e nella vita di ciascuno?
«Il paese di SommoPoggio occupava un posto di rilievo. Un grande rilievo montuoso. Quasi impossibile raggiungerlo. Dal basso si scorgeva appena un tetto a punta, il culmine più alto di una torre fuori dal Comune»
In questo paese fuori dal comune in tutti i sensi «non c’erano persone. O meglio, persone ce n’erano, ma si chiamavano personalità. Tutte altolocate».
A SommoPoggio tutti sono importanti, tutti sono nobili, tutti abitano nella via principale, tutti vivono in grandi palazzi di pregio e - neanche a dirlo - quando qualcuno deve dire qualcosa, non lo pronuncia semplicemente, ma lo proclama, ergendosi sopra un panchetto.
La vacuità che una situazione del genere porta con sé, dove niente spicca e tutto è equiparato in una mediocrità elevata ad eccellenza, tanto ricorda alcune dinamiche sociali e social, dove il nulla viene celebrato come se fosse tutto.
Eppure tra gli innumerevoli “sommi” (cerimoniere, organizzatore, inauguratore…), c’è pure il più sommo dei sommi: «quello che conta. Quello che contava più di tutti».
Da questo sommissimo interprete, ogni giorno, i paesani di SommoPoggio, attendono la proclamazione di ciò che conterà di più in quella giornata:
«e, ogni mattina, alle otto in punto, dall’alto del suo contare, [egli] proclamava all’alta società di SommoPoggio quale sarebbe stata la cosa. La cosa più importante. La cosa che più avrebbe contato in quella giornata. Per tutti»
Quello che segue può sembrare ridicolo, ma è così lontano dalla contemporaneità?
Ecco dunque proclamare il giorno del tenersi in forma, quello delle tazzine di porcellana, quello dei capelli al vento … che determinano a ruota lo sperticarsi in esercizi ginnici o in sedute di tè pomeridiano.
Eppure, come in ogni fiaba, avviene il momento della crisi e infatti, un giorno, quello che conta rimane senza voce e tutti i suoi concittadini devono arrangiarsi, cercando di pensare, ciascuno per proprio conto, che cosa quel giorno contasse veramente.
Rotta la dinamica omologante e spinti a una riflessione personale gli abitanti di SommoPoggio sono invitati ad una rivoluzione personale che inizia con la presa di coscienza di un’inconsistenza pervadente.
Il lasso di tempo silenzioso, forzato, inaspettato e non desiderato permette a ciascuno di riflettere su cosa sia importante per sé, ma soprattutto di sé.
E questo sottile passaggio è suggerito grazie ad un salto temporale, che lungi dall’offrire risposte preconfezionate, ci porta in un futuro dove quello che conta, dopo la terribile afonia, scopre qualcosa di sé.
Le illustrazioni di Emanuele Benetti interpretano perfettamente gli stilemi fiabeschi contenuti nella scrittura e l’ambientazione medievaleggiante risulta pertinente anche nel riprodurre le iperboli narrative. Il codice cromatico segna poi con discrezione l’onda del cambiamento, che deve essere percepita prima che esplicitata.
La Ortolan ha una scrittura che fa dei richiami interni e delle ripetizioni una cifra stilistica. Il riascoltare le stesse parole permette un’intuizione della vastità dei significati che si celano dietro ciascuna e, nello stesso tempo, mette alle strette il lettore che non può sottrarsi alla domanda che la storia pone.
Nel caso specifico di questo albo, poi, la scrittura svela una sottile ironia che critica il modo pomposo, enfatico e vuoto che nella contemporaneità abbiamo di utilizzare le parole. In questo senso, l’evidente segmentazione sintattica non stona.
Una storia inaspettatamente contemporanea e per certi versi filosofica, che immagino in mano a chi si interroga sulla propria levatura.