La vita ha un ritmo e questo crea un aspetto che innerva ciò che vediamo e che chiamiamo pattern. Lo scrive perfettamente Federica Buglioni, in apertura dell’ultimo volume della collana Pino dei Topipittori, Alfabeti naturali:
«L’umanità ha sempre dimostrato un forte interesse per l’ordine nascosto dietro al caos perché è stato proprio identificando i ritmi e le ripetizioni che ha imparato ad adattarsi alla vita: l'alternanza quotidiana di luce e buio, le strisce e le macchie che aiutano a distinguere gli animali e le piante, i cicli solari e stellari che permettono di calcolare le stagioni, le tante strutture naturali ordinate che possono essere imitate per fabbricare tessuti, muri, tetti e utensili. La capacità di vedere i pattern ha aiutato l’uomo a prevedere, riconoscere, progetta-re, trasformare, inventare, pensare. I pattern non si formano dal nulla. Sono il modo in cui gli elementi naturali - acqua, aria, minerali... - si muovono o si trasformano e in cui la vita cresce, cambia e si adatta agli ambienti. L’uomo antico ne era attratto perché intuiva che una struttura organizzata è anche una struttura intelligente. Noi moderni continuiamo a trovare bello, interessante o utile tutto ciò che in natura presenta una forma ordinata o ripetitiva per quello stesso antico motivo: capiamo che ciò che stiamo osservando obbedisce a leggi universali. E il fatto che sia la scienza - la fisica, la chimica, la biologia - a modellare le forme non toglie nulla al senso di meraviglia. Al contrario, lo esalta»
Questo curioso e pur fondamentale legame che c’è tra l’arte, la rappresentazione, la scienza e la vita è qualcosa di cui spesso ci dimentichiamo, affrontando l’esistenza a compartimenti stagni, come se interessarsi di letteratura fosse meno importante di fare esperimenti in laboratorio o come se studiare i microbi non avesse niente a che fare con la cultura.
Con pazienza e sistematicità il libro guida il lettore a focalizzare le organizzazioni secondo le quali possiamo classificare ciò che vediamo “ricoprire” i viventi, ma anche la forma stessa che assumono i viventi: macchie, strisce, spirali, cerchi, frattali, tasselli, sovrapposizioni… il testo arriva a ragionare anche sulla creazione di pattern in movimento legati ai comportamenti collettivi che caratterizzano gli stormi o i banchi di pesci.
Le osservazioni accennano anche alle tracce di aggressioni, come il foro lasciato dal bruco che si introduce nella castagna, e alle impronte che gli animali lasciano in affascinanti serie sulla neve o sulla sabbia e che creano, a loro modo, una ripetizione.
Lo sguardo della Buglioni, insomma, riconduce la creazione di pattern ai segni della vita che si muove.
Tutto è legato a criteri semplici e pratici come l’economia (la forma esagonale è più produttiva e richiede meno materiale di produzione), la sopravvivenza, la riconoscibilità, l’adattamento e la possibilità di vivere in un determinato ambiente, la riproduzione… non c’è nessuna velleità, tutto sembra solo ed esclusivamente funzionale.
Eppure, se ci pensate, è come se la natura ci testimoniasse che la bellezza è qualcosa che disinvoltamente emerge in risposta alla vita stessa.
L’organizzazione, la funzionalità - sembra chiederci questo libro - tolgono forse qualcosa al senso di meraviglia?
Il quaderno, come ogni altro volume della collana Pino, è strutturato in modo da esplicitare in modo chiaro i contenuti, offrendo, a seguito, numerosi inviti alla ricerca e alla documentazione in prima persona.
«Cerca strutture simmetriche, disegnale qui e conta quante volte la forma si ripete. Puoi cominciare all’aperto oppure in cucina, osservando la frutta fresca e diversi tipi di ortaggi: a foglia (insalata, spinaci), a frutto (cetrioli, pomodori) o a bulbo (cipolle)»
Dopo due terzi di cammino fra queste pagine, organizzate tematicamente sulle strutture che citavo prima, il quaderno cambia colore della pagina, scegliendo un ocra gentile, e affronta sistematicamente le tecniche di osservazione dei pattern.
Anse e vortici nelle impronte digitali, nervature nelle foglie e poi ancora confronti, osservazioni nel tempo, somme, frottage, tecniche di stampa…
L’ultima parte del libro, infine, per poche pagine, lancia un terzo sguardo, un ponte tra la documentazione e l’osservazione, lasciando spazio a quella che è la grande dote dell’uomo: l’arte, l’immaginazione.
In queste pagine, infatti, l’autrice invita a creare qualcosa di nuovo e inaspettato, utilizzando i pattern come strumenti artistici per creare qualcosa di inutile ma di bello per sé.
Le illustrazioni di Luogo Comune sono particolarmente calzanti sull’argomento, perché la tecnica piatta del pennarello riesce a cogliere esattamente il ritmo regolare dei pattern pur nelle sottili irregolarità che la stessa stesura del colore restituisce.
Senza dubbio uno dei più bei volumi della collana Pino.
Grazie di essere passato di qui a scrivermelo! Amo molto il tuo lavoro!
Grazie mille, bellissima recensione! Ne sono davvero lusingato