Settimana scorsa, leggevo sulla Domenica del Sole24ore, un articolo di Teresa Franco che raccontava anche dei Janeites un gruppo di soldati che durante la Prima guerra mondiale fondarono «una società segreta, devotamente ispirata alla scrittrice» Jane Austen.
La letteratura cura il cuore.
Fanny Britt parte da questa esperienza universale e con Jane, la volpe e io ci catapulta, con una intensità che strazia e conquista insieme, nella vita di un’adolescente qualsiasi, banalmente emarginata per cause che non sapremo mai: «quelle sono dappertutto, come i loro insulti, scarabocchiati sui muri». È tutto grigio il mondo di Helene, le compagne a volte hanno il nome degli insulti, delle minacce che le dedicano ogni giorno, ma tra le pagine grigie di un’esistenza grigia ecco alcun arancioni, rosa, verdi gialli: «tiro fuori il mio libro… Si intitola Jane Eyre, di Charlote Brontë».
Il testo di Fanny Britt si attacca alla pelle, crea un malessere diffuso, prende lo stomaco, si ritorna all’insicurezza che tutti per un motivo e per l’altro hanno provato in quel periodo acerbo e lucente che è l’adolescenza. Il disagio, le responsabilità, i pensieri dolorosi e i desideri travolgenti e quel chiodo logorante che sembra ribadire imperterrito la piccolezza e il grigiore della propria vita. Una vita “obbligata” tra banchi di scuola e compagni, autobus, vestiti fuori moda, mamme stanche che si amano ma che non capiscono, il peso di un fisico che non sembra mai a posto… un mondo che si vorrebbe delle infinite possibilità, ma che sembra non offrirne nessuna.
«L’ho immaginata [la mamma ndr.] china sulla sua vecchia Singer a mezzanotte passata. Dopo aver preparato la cena. Caricato la lavatrice. Aiutato i miei fratellini con i compiti. Finito un lavoro per oggi domani. Steso il bucato. Preparato i pranzi per il giorno dopo. mandato tutti a letto. Cambiato la puntina del giradischi. Piegato la biancheria. Cambiato il fusibile della piastra elettrica, quella di destra che usiamo di più, non si sa perché, ma cucina meglio. A mezzanotte passata, insomma. Con gli occhi rossi, i capelli fermati dalle forcine spaiate […] Allora guardo il nuovo vestito di crinoline, bellissimo e tutto mio… E mi sembra di vederlo sbiadire».
«Sento tutto. E non sento niente». Questa è la sintesi della vita di Helene e di ogni persona graziata dalla sensibilità di vedere il mondo, forse ancora non mettendolo bene a fuoco, ma vedendolo.
Jane Eyre mostra ad Helene la traiettoria della vita, ne condivide un’infanzia dura e in parte profondamente infelice, ma «diventata adulta, brillante, magra e saggia, [e] si rende conto piuttosto bene di non essere un mostro, infin dei conti». Poi, a tradimento, arriva perfino il campo d’inglese, un ulteriore prova non necessaria: costumi da bagno da dover comprare e indossare (!) e notti trascorse tra prepotenti nemiche. Nessun conforto, nessuna pace.
«Nel costume Monaco mi sento una salsiccia ballerina. Nel costume nero, sono una salsiccia in lutto. Sono comunque una salsiccia. Jane Eyre sarà anche orfana, sporca, trascurata, sola e abbandonata, ma non è mai stata né mai sarà una grossa salsiccia».
Il campus se possibile è peggio del previsto «tutti si voltano verso di me. E improvvisamente tutto è immobile. Perfino l’aria. A me si è fermato il cuore. È in attesa. Di qualcosa. I rinforzi dalle retrovie. La fine del mondo magari». Il nero è dappertutto. Poi una mattina un lampo arancione squarcia il terrore dell’ennesima giornata al campus, ma fugge via è un attimo. E Jane Eyre sposa il signor Rochester ed Helene è «quasi pronta a stracciare Jane Eyre, quando la ragazza con gli occhi azzurri e i capelli neri entra nella tenda delle emarginate». Geraldine cambia tutto.
È cambiato qualcosa? È arrivato qualcuno che sta con te. Un amico. E quindi sì, è cambiato tutto.
«Quando Jane arriva al maniero, trova il signor Rochester al buio, in mezzo alle rovine del suo castello. È storpio, cieco, trasandato. E lei lo ama ancora. Lui non se ne capacita. Io nemmeno. Non succederebbe mai, nella vita vera. Giusto? Presterò il mio Jane Eyre a Geraldine, quando tornerà a casa dalle vacanze. Le ho detto: vedrai, finisce bene».
Nel testo claustrofobico di Fanny Britt si insinua progressivamente il respiro speranzoso della letteratura che alla fine spalanca le porte di fronte alla sua giovane protagonista.
Isabelle Arsenault fa un capolavoro che venne celebrato universalmente nel 2013 quando uscì: una graphic novel illustrata magistralmente, con un tratto leggero e fine quanto fendente, ritmi magistralmente gestiti, equilibri cromatici sorprendenti.
Non parlate di un libro sul bullismo, parlate di un libro sulla speranza, sul coraggio, sulla letteratura, sulla vita, ma vi prego non parlate di un libro sul bullismo.
Un capolavoro.
Jane, la volpe e io
Fanny Britt - Isabelle Arsenault - Michele Foschini (traduttore)
98 pagine
Anno: 2014
Prezzo: 16,00 €
ISBN: 9788804637257
Mondadori editore
Grazie! Mi hai commossa e ti ringrazio!
I libri capolavoro meritano altrettante recensione. Leggere le tue è un piacere dell’ anima che di sposa perfettamente con la lettura del libro stesso.
Arghhh!
Leggo con grande piacere ed amo le tue “recensioni”.
Mi perdonerai se ti faccio una piccola annotazione: ti è scappato un Jane “Austin” al posto di Austen.
Si capisce cmq di chi si tratta, ma… non ce la faccio a vedere quel nome che adoro, in forma inesatta!!! 😉
Vero!
Un capolavoro!