Il fenomeno della metamorfosi è definito da Calvino* come «la continuità tra tutte le figure e forme dell’esistente, antropomorfe o meno». Commentando l’opera ovidiana, lo scrittore continua: «Fauna, flora, regno minerale, firmamento inglobano nella loro comune sostanza ciò che usiamo considerare umano come insieme di qualità corporee e psicologiche e morali […] le Metamorfosi vogliono rappresentare l’insieme del raccontabile tramandato dalla letteratura con tutta la forza d’immagini e significati che esso convoglia, senza decidere tra le chiavi di lettura possibile». Il fenomeno metamorfico si connota quindi subito come ambiguo e di difficile lettura e, in effetti, il senso di mistero domina nell’ultima fatica di Fabian Negrin: C’era una volta un cacciatore.
«Dove vai, tu, cacciatore?
cerchi guai o cerchi amore?
Cacciatore, dove vai?
Se muori lo saprai».
Con questo canto, degno degli enigmi della Pizia, si apre il libro, un silentbook, che fino alla fine non offrirà alcun altro appiglio linguistico. Un contesto rinascimentale, una caccia, un uomo e una cerva, una freccia che centra la preda. La cerva fugge e il cacciatore la insegue fino ad una fonte nascosta e celata, una fonte magica che al primo sorso ristoratore trasformerà l’uomo in un mezzo cervo, poco più in là una donna nuda, sorpresa a farsi il bagno. I due si riconoscono, la passione è fulminea. Pausa.
«Si tratta [nelle Metamorfosi ndr.] d’innamoramenti a prima vista, un richiamo impellente, senza complicazioni psicologiche, che esige un soddisfacimento immediato. E siccome la creatura desiderata di regola si rifiuta e fugge… la metamorfosi può intervenire come travestimento del seduttore o scampo dell’insidiata o punizione della sedotta».
Qui invece la creatura desiderata non si nega.
Il sorgere del sole incomincia una nuova storia: uomo e cerva si ritrovano nei loro panni, ma il riconoscimento non viene meno. La cerva fugge e il cacciatore cosa fa? Va a gettarsi tutto intero nella fonte magica, emergendone come un vigoroso cervo.
Il ricongiungimento è ora tra simili.
Il richiamo al mito di Atteone, che sembra scontato ed evidente, non lo è - a parer mio - nei fatti e nei significati che l’artista italo-argentino veicola nel testo. Quella di Atteone infatti è una metamorfosi punitiva che toglie umanità al sacrilego, seppur innocente cacciatore, sacrificandolo al capriccio della dea. Anche la fiaba Fratellino e sorellina, va collegata come fonte iconografica e formalismo narrativo, ma non come sostanza e significato: la metamorfosi nella fiaba è infatti ancora una volta subita.
Qui invece ci troviamo di fronte ad una trasformazione radicalmente diversa e non solo per il lieto fine che chiude questa storia, ma per la trasformazione del concetto stesso del fenomeno che assume tratti molto più moderni e psicologici. La metamorfosi del cacciatore e in particolare, la metamorfosi cercata, voluta, quasi pretesa dalla fonte appare piuttosto come un desiderio di trasformazione di sé e dono all’altro, di cui si coglie una diversità radicale. Il rapporto con il diverso da sé diventa provocazione all’evoluzione di sé, per accordarsi ad un mondo (l’altro e, in questo caso, l’altra) profondamente lontano, ma ugualmente attraente.
La rilettura personale di Fabian Negrin del mito si trasforma per dare vita ad una riflessione dell’identità del soggetto nelle relazioni e nell’amore.
«Lo specchio dell’amore muta,
mi mostra una figura irsuta.
Sono un uomo o un animale?
Posso vivere al plurale?
Cerva, cerva
nessuna forma si conserva».
Le illustrazioni di Fabian Negrin, quasi espressione del tema metamorfico, sono radicalmente diverse da quelle delle sue ultime opere. L’uso di una tecnica grassa e i tocchi di colore e i bianchi che il pastello lascia nella sua stesura danno alle tavole un che di indefinito e pastoso. Contemporaneamente l’assoluta mancanza di linee di contorno, crea un effetto quasi impressionistico e armonico: non ci sono confini segnati tra spazio, figure, animali, umani… Bellissimo il climax cromatico dal bianco e nero al tripudio di colori che si ripete nelle due sequenze della storia, parallelamente, come a dire che il caso che regna sovrano nella prima parte della storia, deve trasformarsi nella consapevolezza: al protagonista è lasciata la libertà di scegliere. Al sorgere del sole tutto è tornato all’origine, al bianco e nero iniziale, il cacciatore può scegliere di cercare di riavvicinarsi all’amata, dando colore alla sua storia (che forza la tavola dell’emersione del cervo dallo stagno!). Agli scorci arditi e alle figure che travalicano la pagina drammaticamente e spettacolarmente, siamo invece abituati, pur rimanendo sempre a bocca aperta.
Una storia d’amore adulta, profonda e ricchissima, un libro senza parole ricchissimo di echi e metafore, un’ennesima prova di raro vigore di Fabian Negrin.
*Italo Calvino, Gli indistinti confini saggio introduttivo a Metamorfosi di Publio Ovidio Nasone, Einaudi.