A differenza delle tante improvvisazioni che si avvicendano nelle rinarrazioni delle fiabe, Fabian Negrin mostra di essere un fine conoscitore di questo genere letterario e per Orecchio acerbo scrive una versione di Biancaneve in una chiave illustrativa affascinante e con una ricchezza testuale sorprendente.
«Avessi una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l’ebano di questa finestra» recitava la madre nell’apertura della fiaba originale dei fratelli Grimm, ed è proprio dalla descrizione di questo desiderio che Negrin coglie una chiave di rilettura della storia e scrive Bianca come la neve.
Il contesto in cui ci catapulta l’autore è infatti polare, un luogo dove il bianco impera come colore dalle mille algide sfumature.
La madre-matrigna prende vita dall’immaginario delle tradizioni del nord estremo: indossa la pelle di una ferocissima orca e il suo volto rifulge di una selvatichezza inquietante.
Il codice cromatico che caratterizza la fiaba di Biancaneve e che si declina nel nero, nel rosso e nel bianco trova un corrispettivo perfetto nel niveo contesto, nella pelle d’ebano della madre e nel rosso che la infiammerà.
«Un inverno di molti anni fa, in un posto su a nord, nel giorno più freddo, la regina depose sulla neve un uovo bianchissimo»
Una bambina bianca e perfetta nasce da un uovo bianco e perfetto: è l’incarnazione della purezza e del candore, con in testa un copricapo a forma di cigno che la lega alla vasta tradizione di bambine-spose uccello.
«Una volta all’anno la regina faceva un incantesimo. Con una stalattite di ghiaccio si punzecchiava un dito fino a che il male non le faceva versare una lacrima. Al contatto con l’aria fredda, la lacrima si congelava immediatamente e la donna, guardandola in controluce, recitava:
Lacrima dei miei pensieri
grevi specchio dei momenti lievi
chi è la regina delle nevi?
Dalla lacrima ghiacciata usciva una voce che, quel giorno, per la prima volta dopo tanti anni in cui aveva risposto in interrottamente “La regina sei tu e nessuno più” disse invece:
Ieri eri tu delle nevi la regina
ma oggi c’è una pallida bambina
imperatrice del bianco e della brina»
Presa da una rabbia rossa come il fuoco, la madre regina convoca un sabba notturno a cui partecipano gli animali artici e sotto un inquietante aurora boreale sancisce la morte della figlia.
Alle creature selvagge è dato il compito di abbandonare la bambina alla deriva su un iceberg, ma queste non hanno cuore di destinare alla morte quella bambina così candida, la spingono allora verso sud, lontana dai ghiacci dove scopre un mondo dai colori mai visti: «alberi verdi, montagne giallo senape, cielo azzurro, fiori viola».
Tutto è meraviglioso e per la prima volta la protagonista spicca sullo sfondo, resa disarmonica da quel pulsare di colori.
La bambina raggiunge la casa di alcuni nani che la prendono con loro, bambina tra i bambini, anche se la regina non mancherà di attentare alla sua vita. Fabian Negrin riduce le prove della strega-madre ad un unico incontro e a quel morso sconsiderato che fa cadere la bambina rigida come un pezzo di ghiaccio.
Per cento anni i nani vegliano la teca di cristallo in cui questa giovane Biancaneve riposa.
«Allo scoccare preciso del secolo, a metà mattinata, arriva un bambino pallido. «Buongiorno, sono il principe della montagna”»
Un bambino dalla pelle di gatto che sembra accordarsi perfettamente alla nivea bambina con il copricapo da cigno: egli si fa sotto, le toglie il pezzo di mela dalla bocca e la bacia. E così finalmente il giorno dopo, i due eterei e bianchi bambini possono recarsi felici nel regno del Principe Gatto, su, su, oltre le montagne:
«si inoltrarono fra i ghiacciai perenni fino a diventare due puntini candidi sullo sfondo immacolato. Si dice che là vissero invisibili per sempre. E chi si è visto si è visto»
La narrazione in prosa di Negrin sa rimanere fedele alla modalità narrativa della fiaba: non c’è personalizzazione, il tono rimane universale, le iperboli sono mantenute anche le clausole narrative di apertura di chiusura e le ripetizioni, tipiche della tradizione orale, trovano il loro posto.
Tutto è coerente con il personaggio creato, senza che questo segni una cesura con la tradizione orale.
L’editore, nel presentare il testo, sottolinea che in questa fiaba convergano molte altre fiabe e riferimenti. Io credo che il valore di questo libro stia nel fatto che Negrin riesce invece a ri-raccontare UNA fiaba con coerenza, irrobustendola con i riferimenti ad altre fiabe. Quella che il lettore ha tra le mani non è un esercizio colto e neppure una trasposizione tendenziosa, è chiaramente, indiscutibilmente e semplicemente una Biancaneve.
Gli stili pittorici di Negrin si alternano tra macchie di colore tamponate, acquerelli, pagine scure che sembrano citare le antiche pitture della tradizione cinese.
Il gioco visivo dell’essere visti e del non essere visti è centrale e credo che in questo risieda l’interpretazione contemporanea e personale dell’autore: vediamo ancora le fiabe intorno a noi? Sappiamo cogliere i moniti che nel loro candore ci impongono quando spiccano nel contesto della “normalità”?
Il codice cromatico fiabesco si trasforma in emanazione emotiva e spirituale dei personaggi: il sonno avvelenato della protagonista che investe le pagine rendendo tutto buio, il rosso che infuoca la regina, il bianco abbagliante che nasconde o rivela…
Se si rispetta la parola fiabesca, se si accetta di non piegarla al proprio ego, la narrazione riesce ad essere sempre nuova e attuale.
P.S. aggiungo una nota, perché non vorrei che questo libro rimanesse relegato allo scaffale degli appassionati di fiabe o di “albi d’autore”. Al posto dell’ennesimo libro sulle emozioni, proponete ai bambini le fiabe: leggeranno sfumature dell’animo umano che sono poi quelle che realmente tutti vivono.