Mi vedi? Guardami! La copertina di Emily Hughes non dà pace: se per caso la intercetti non riesci più a staccare gli occhi, sarà forse per quello sguardo, letteralmente, a palla.
Noi ci siamo cascati immediatamente e Wild è riuscito a raggiungerci qui in Brianza. Il libro era mio, l’ho chiarito subito al mio pargolo, che però a differenza che in altre occasioni ha fatto di tutto per appropriarsene: dal nasconderlo in improbabili nascondigli in camera, al segnare a lettere cubitali (in biro arghhhhh!!!) il suo nome all’interno…
Non mi resta che presentarvelo. Wild è l’opera prima della giovanissima autrice e illustratrice hawaiana, ormai di base in Inghilterra, Emily Hughes ed è la storia di una bimbetta alquanto sopra le righe: una via di mezzo tra Pippi Calzelunghe e Mowgli. La storia in sé per sé è esile, al limite dell’inconsistente, e infatti ha ricevuto molte recensioni assai discordi tra loro, in ogni caso - come la stessa autrice ribadisce - il suo obiettivo era quello di ricordare a tutti che ognuno va accettato per quello che è e su questo siamo tutti d'accordo!
Questa bimbetta viene trovata nella foresta «no one remember how she came to the woods, but all knew it was right» e tutti gli animali si prendono a cuore quel piccolo esserino delizioso e vispo assai. I corvi le insegnano a parlare, gli orsi a cacciare, le volpi a giocare e «she understood, and was happy». Un giorno però entrano in scena degli altri animali che con una tagliola (!!) acchiappano l’allegra selvaggia: basiti e intimoriti portano la torva e assolutamente recalcitrante bambina nella grigia e lontana civiltà. Attraverso un passaggio un po’ scontato e calcato, la bambina finisce nella casa di un’orrenda coppia di orchi-psichiatri che la misurano, la ridimensionano, la vestono… e con diabolico sadismo cercano di inculcarle l’uso dell’alfabeto, delle buone maniere e dei giochi tranquilli, ma «she did not understand, and she was not happy». Il destino è l’infelicità perenne? Avrebbe potuto esserlo, ma la nostra protagonista ha risorse ferine che non si esauriscono facilmente e dopo aver travolto come uno tsunami la casa-prigione, abbandona gialli vestitini e trecce coercitive e torna nuda e felice nel bosco «because you cannot tame something so happily wild…». La storia è questa e devo ammettere che qualche perplessità l’ha destata anche in me: tame significa domare ed effettivamente il verbo è tremendo se si pensa associato all’educazione, educare significa domare? Ma è davvero sbagliato o brutto pensare che giocare senza distruggere e mangiare senza i piedi nel tavolo sia un’ingiusta costrizione? Certamente i personaggi umani in questa storia sono tutto tranne che amorevoli, al contrario degli animali, ma l’adulto merita sempre una caratterizzazione di questo tipo? Vivere immersi nella natura vivifica certamente l’animo, la bellezza e la gratuità del creato smuovono e pacificano l’animo ma ad un bambino, ad un essere umano una vita soli, senza relazioni alla pari basta? Un po' mi rimane l'amarezza di una menzogna dove la solitudine è assunta a ideale (ne avevo accennato anche qui).
Il punto di partenza è certamente la decisione di accettare l’altro per quello che è, amandolo per quello che è, tuttavia mostrare un modo bello o addirittura più bello di fare le cose secondo me è segno di stima ed è il contenuto dell’educazione. Parlare al cuore dell’altro rendendolo esigente di felicità e bellezza è prendere sul serio l’altro, al contrario credo che si tratti di un’accettazione superficiale dell’altro: tu fai quello che vuoi, io faccio quello che voglio e ci ignoriamo freddamente! È possibile un confronto?
La trama, dunque, non mi ha conquistato, ciò che però mi ha ammaliato sono i disegni fantastici di Emily. La ricchezza di particolari, i volumi, la caratterizzazione dei personaggi, le espressioni e le posture così cinematografiche, il tratto netto ma ripassato come nei bozzetti, le trame delle superfici, l’originalità del mondo creato, degli spazi e delle cose: le poltrone, i quadri i tappeti , le sedie, le tovaglie, la trapunta e così le foglie, i tronchi, i prati, i vortici del fiume, i funghi, i sassi… Il contrasto tra le pagine, spesso bianche su cui spicca il testo, e la corrispettiva tavola densa e satura di disegno è intenso, ma fresco.
È uno di quei libri che vorresti guardare e riguardare e dopo un po’ inizi ad invidiare quella folta capigliatura verde e quei cuscini così morbidi, poi inizi a pensare che i colletti ricamati non siano poi così brutti e che magari dormire nel tronco cavo di un salice potrebbe regalarti momenti di pace, e poi ti viene voglia di un fiore nei capelli e di una volpe per amica…
Saverio adora questo libro, sarà forse una sorta di rivendicazione della sua selvatichezza o una mal celata richiesta di poter giocare come un pazzo senza freni, o mangiare sul tavolo… magari. Noi comunque ci godiamo questo libro così com’è, magari sarà l’occasione anche per fare pensieri insieme!
P.S. l’inglese, come avete dedotto, è di una semplicità disarmante!
Il tema del selvaggio felice in effetti percorre la letteratura da molti secoli: Lei a che testo sta pensando?
Questo libro mi sa di scopiazzamento. Ho letto questa storia su un libro che si chiamava proprio “Selvaggia” già nel 1962-63 e la trama era la stessa. Che dire: Brava “l’autrice” che ha fatto delle belle immagini
[…] primo libro di Emily Hughes, Wild (Selvaggia per i lettori italiani), mi aveva colpito da subito per la ricchezza generosa dei colori, per i […]