Mi è capitato di insegnare in classi dove la lingua italiana era la cosiddetta L2: cioè dove gli apprendenti erano turchi, cinesi, ucraini etc. e la lingua da imparare era l’italiano. Per familiarizzare con la loro esperienza ho provato a leggere un giornale turco e uno cinese: non avete idea dello straniamento, dell’impotenza e dell’oggettiva percezione di quanto sia complessa l’acquisizione di una lingua … e dire che Saverio ha 3 anni e, senza alcuna lezione di grammatica, parla correntemente la sua lingua … ma qui dovremmo disturbare De Saussure, Chomsky e molti altri.

Dunque, tornando al punto, non potevo che intitolare così il mio post su questo libro, perché qualsiasi recensione che troverete a suo riguardo vi parlerà della sua lingua.

Tararì tararera… di Emanuela Bussolati riprende un’idea curiosa, ma conosciuta - quella che i bambini parlino una loro lingua - e ne fa un libro. Sulla copertina infatti leggiamo «Storia in lingua Piripù per il puro piacere di raccontare storie ai Piripù Bibi». Lingua Piripù? Piripù Bibi? Non vi nascondo che la prima volta che l’ho letto a Saverio ho avuto l’impressione di trovarmi in un turbine da cui non vedevo l’ora di uscire: era come leggere un dialetto nigeriano. Avete mai provato a leggere senza avere idea di cosa stiate leggendo? È impossibile dare una intonazione, è difficile fare le pause, i suoni privi di significato si susseguono senza che voi riusciate a capire cosa state dicendo. Giunta stremata all’ultima pagina, alzo gli occhi e vedo Saverio sorridente: lui aveva capito tutto.

Questo è il punto: io ero concentratissima sulle parole, proprio su quelle scritte sulla pagina e non avevo guardato neanche un’illustrazione, lui invece probabilmente si era lasciato accompagnare dai suoni della mamma e aveva guardato le figure. Non avevo capito niente. Dunque, alla prima lettura, sfogliatelo con calma e magari insieme al vostro bambino cercate già di raccontarvi la storia, la lettura così in un secondo momento verrà più sciolta. E poi fidatevi delle dimensioni e delle forme che le parole assumono sulla pagina, perché danno più indicazioni di quanto sembri.

Comunque non preoccupatevi: alla quarta lettura inizierete a capire anche un po’ come funziona la lingua Piripù. È dura, ma ha un suo fascino!

Ma oltre alla lingua ci sono le immagini: un po’ collage, un po’ disegni, un po’ computer. L’ambientazione è africana, ma molto banale, le espressioni del piccolo protagonista sono simpatiche, ma c’è ben poco da guardare e da cui farsi colpire: c’è quel che serve per capire il testo, niente di più, niente di meno. Io non sono stata conquistata, né particolarmente affascinata: il mio allenatore di equitazione definiva queste performance «senza infamia e senza gloria».

Tutto ruota intorno all’idea del testo, il resto mi sembra sia stato un po’ trascurato. Saverio infatti adora ascoltarlo: non vede l’ora di poter urlare «Braaaaaaa!» o «AHHHHH!» o mimare il pianto «iiiiii iiiiii iiiii». E ha anche compreso il significato profondo di alcune espressioni: mi dice «mamma rulba rulba rulba», superandomi con fierezza nella corsa del corridoio :) , tuttavia non c’è un elemento che lui mi abbia indicato né un personaggio che abbia voluto copiare o di cui abbia parlato.

Io rimango una sostenitrice che le belle idee debbano trovare una completa e bella realizzazione, dall’inizio alla fine, e questo libro mi è sembrato un po’ zoppo.

Tararì tararera…

Emanuela Bussolati
36 pagine
Anno: 2009

Prezzo: 14,90 €
ISBN: 9788895443263

Carthusia editore
Anobii

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