Parlare di adozione e in particolare della storia personale dei figli adottati è sempre molto complesso, anzi sostanzialmente impossibile - secondo me -, senza incappare in semplificazioni che un argomento così delicato non può sopportare. Tuttavia c’è un momento che accomuna il sentire di tutti i genitori adottivi e dei loro figli: l’emozione dell’incontro.
Dolores Brown, pseudonimo di un’autrice americana di cui si sa poco, credo che conosca bene l’argomento in questione, ella infatti sceglie di percorrere una strada generica, ma vincente, dando voce ai genitori adottivi.
«A volte quando desideri qualcosa molto intensamente, sembra che il tempo non passi mai».
A quale genitore adottivo è stata risparmiata la fatica sfiancante dell’attesa?
«Non sapevamo il giorno del tuo arrivo».
Il logorìo dell’attesa adottiva si sostanzia in queste parole: non c’è una data di arrivo, non c’è un traguardo da raggiungere, non c’è neppure uno sviluppo da seguire e assecondare. Oggi non si sa niente di te e poi domani - ma quale domani? - il tutto di quel figlio investe quel padre e quella madre che nel giro di poche ore vedono sbocciare una gestazione durata anni. Le frasi lapidarie rendono giustizia ad un tempo lento, di attesa silenziosa: si prepara la stanza, si immaginano gli occhi e il volto di quel figlio, si ipotizza l’età, ci si domanda che gusti avrà, che cosa sta vivendo e si soffre già pensando che gli si vorrebbe essere accanto, anche se ancora non si conosce il suo volto.
A metà del percorso la svolta. «Un giorno, finalmente, hai fatto capolino nelle nostre vite».
Da qui il racconto è realistico, ma senza lasciare spazio alla tristezza, l’autrice vuole che sia tutto il bello ad investire il lettore: il tempo per conoscersi, la gioiosa accoglienza della famiglia, la scuola, gli amici, i nonni…
«Da quando sei qui, Emilio e Cuca sono più felici che mai. Anche noi lo siamo, perché ti abbiamo aspettato a lungo…».
Il racconto è certo generalizzato e felicemente narrato, ma io credo che sorvolare sul panico, le paure, gli adattamenti dei nostri figli adottivi non idealizzi il racconto (ai figli che nascono ugualmente si parla della gioia e non dei dolori del parto!), semplicemente il testo si rivolge ai bambini, sottolineando gli aspetti felici della nascita di una famiglia adottiva.
Bellissima e non casuale - secondo me - la scelta di usare sempre la prima persona plurale nella narrazione: l’attesa adottiva infatti, a differenza, della gravidanza, è una attesa consapevolmente paritetica, dove il padre e la madre condividono le medesime contingenze. Il noi, poi, ingloba senza alcuna variazione linguistica il figlio al suo arrivo, in un’armonia che - altra esperienza comune alle famiglie adottive - sembra essere stata così da sempre.
Le illustrazioni piene di colore dell’artista iraniano Reza Dalvand si muovono tra la metafora e il realismo in uno stile riconoscibile, compìto e molto piacevole. E il bianco che tanto spazio occupa prima dell'incontro poi lentamente sparisce, lasciando al colore il compito di riempire le tavole di traboccante euforia.
Uno libro sull’adozione che mi sento di poter consigliare a tutti (dai 4 anni) senza remore e riserve: un libro pieno di gioia che descrive infatti una gioia incontenibile, quella di incontrare il proprio figlio.