Mi sono avvicinata ad Earwig, perché l’uscita del nuovo film dello Studio Ghibli lo aveva immediatamente catapultato sulla mia scrivania, in attesa di lettura.
Il film è uscito - seguito da critiche unanimi e non positive -, ma la lettura non è stata scoraggiata, poiché nei mesi scorsi mi sono dedicata allo studio delle fonti dei film dello studio cinematografico giapponese.
L’autrice, Diana Wynne Jones, mi era nota, poiché è la fonte del capolavoro Il castello errante di Howl, e dunque ero preparata allo stile narrativo lacunoso e al mondo magico che vive nella sua scrittura.
A differenza de Il castello magico di Howl, tuttavia, la vicenda di Earwig e la strega è più semplice e lineare e racconta le vicende di una bambina orfana, probabilmente una strega, e della sua successiva adozione da parte di una strega e un demone (sembra il diavolo in persona!).
Earwig è una ragazzina testarda e tenace, una bambina abituata a farsi servire (persino in orfanotrofio!) e quando una bizzarra e inquietante coppia decide di adottarla tutto cambia, tranne il suo piglio: cercherà in tutti i modi di tornare ad essere la reginetta del suo mondo.
Le vicende si svolgono nella casa magica, dove Earwig si trova a vivere come sguattera e assistente più che come figlia di Bella Yaga e Mandragora e seguono il suo piano, disseminato di guai, di trovare un posto confortevole in questa nuova famiglia.
Tra incantesimi e paioli magici, tra stanze che scompaiono e pranzi che appaiono, tra famigli timidi e spaventati e piante dalle proprietà portentose, Earwig combatterà e imparerà la magia:
«“Sai” disse a Thomas [il gatto nero famiglio ndr.], “se mi impegno, dovremmo riuscire a farli comportare proprio come vogliamo noi”»
Questo comporterà far spuntare a Bella Yaga due mani in più, cospargersi di un unguento magico per non farsi più venire i vermi (è la punizione che Bella Yaga appioppa a chiunque le dia fastidio!), scatenare le ire dei demoni di Mandragora e bruciare pane fritto.
L’avventura sta tutta tra questi due poli: l’uscita dall’orfanotrofio e la piccola Earwig seduta nel suo letto a baldacchino a scegliere la colazione da farsi portare a letto dai demoni di famiglia.
Come capita in tutte le narrazioni scelte dallo Studio Ghibli ciò che colpisce è la sfumatura indefinita che caratterizza i personaggi: Earwig è la nostra eroina, ma è anche una bambina viziata, insolente, scortese, Bella Yaga è una strega che pare non avere compassione, è dura e sprezzante però alla fine si piega a insegnare la magia a Earwig, Mandragora che sembra il diavolo in persona con le sue corna e gli occhi infuocati si rivela alla fine dotato di buon cuore.
Insomma come stare in uno spazio narrativo del genere?
Osservandolo e accettandolo, senza la pretesa che debba insegnare qualcosa. È l’inaspettato che colpisce nelle storie magiche di questa autrice, il mix tra bene e male che è meno netto di quello a cui la scrittura più recente ci ha abituato, ma forse più realistico.
Inoltre colpisce, come anticipavo, anche la ricca presenza di fili narrativi che rimangono sospesi e incompiuti e per i quali ci si aspetta un seguito che però non esiste, dato che il romanzo fu tra gli ultimi scritti di una Diana Wynne Jones piuttosto anziana.
Ad esempio, cosa dire del biglietto con cui Earwig fu trovata e che accenna a vicende incombenti:
«Ho le altre dodici streghe alle calcagna. Tornerò riprenderla quando le avrò seminate. Potrebbero volerci anni. Lei si chiama Earwig»
Come si sviluppa il rapporto con John, l’amico dell’orfanotrofio, che sembra fondante e che si interrompe con l’adozione di Earwig?
«Avrebbe potuto convincere John il Budino a venire a trovarla: aveva troppa paura di Mandragora. Comunque, pensò [...] poteva lavorare su John come aveva fatto con la sua nuova famiglia»
Una storia che colpisce per il suo essere imperfetta, una piccola proposta irriverente dagli 8 anni.
P.S. Le illustrazioni di Miho Satake sono splendide e segnano un abisso con la terribile resa cinematografica.