Dave Eggers, tra le voci più eclettiche e impressionanti del panorama narrativo mondiale e contemporaneo, che ha strabiliato critica e lettori con la sua opera prima L’opera struggente di un formidabile genio, arriva in questi giorni in Italia con il primo romanzo esplicitamente dedicato ai ragazzi: Gli occhi e l’impossibile.
In realtà Eggers da tempo ha a che fare con il mondo della letteratura giovanile: ha sceneggiato per Spike Jonze il film dedicato a Il paese dei mostri selvaggi di Maurice Sendak, al quale poi si è ispirato per un romanzo, rivolto agli adulti, che si intitola Creature selvagge. Ha fondato una scuola di scrittura creativa per ragazzi, 826 Valencia, che ha dato alle stampe due particolari quaderni di scrittura e illustrazione arrivati in Italia e poi spariti.
Recentemente, infine, sono usciti in Italia due albi illustrati da lui firmati: Il piede destro dedicato alla Statua della libertà e Lo strambo trasloco della magione Miller, vincitore del premio Andersen per la fascia 9-12 anni.
La genialità di questo scrittore si coglie nel dipanarsi di narrazioni ampie, perché solo così la sua scrittura eccentrica, vigorosa e sorprendente rifulge. Eggers è capace di intrecciare trame mai scontate, che creano un clima narrativo molto coerente, dal quale si è circondati, come una bolla dalla quale è difficile uscire.
Questo romanzo, in particolare, regala il respiro della gioia pura e della libertà, ed è facile capire perché di questo romanzo abbia dichiarato:
«Ho sempre voluto tornare a quella voce, ero così felice quando scrivevo»
È molto difficile restituire in una recensione il sapore di questa scrittura perché, sebbene le trame dei suoi libri possano essere riassunte con molta semplicità, non rendono neanche un millesimo dell’esperienza che i suoi romanzi regalano a lettori.
Gli occhi e l’impossibile dà voce a un cane che vive in un luogo – che si scoprirà essere un’isola – occupato perlopiù da un grande zoo vicino alla spiaggia.
«Sono un cane e mi chiamo Johannes e vi ho visti. Vi ho visti in questo parco, che è la mia casa. Se siete venuti in questo parco, nel mio immenso prato verde, vicino al mare e battuto dal vento, io vi ho visti. Ho visto tutti quelli che sono stati qui: chi viene a passeggiare o a correre e chi in bicicletta o a cavallo, chi per cercare i Bisonti o fare un picnic e chi per tirare con l'arco avvolto nel suo mantello. Quando siete venuti qui, siete venuti a casa mia, dove io sono gli Occhi»
In effetti Johannes è proprio gli Occhi. I bisonti, creature immense e pacifiche, guidano la comunità animale, preservando l’equilibrio, e prendono le loro decisioni sulla base di quanto gli Occhi registrano quotidianamente nei giri e nelle corse per l’isola.
Johannes è caratterizzato immediatamente da un modo di raccontare esuberante, spensierato e felice, che comunica un amore totalizzante per l’esistenza: soffia tra le parole un’aria di libertà tonificante e rigenerante.
«Voglio raccontarvi quand’è stato che le mie giornate sono cambiate. È successo di recente. Duecento anni fa, secondo i miei calcoli. Dopo una notte con un miliardo di stelle, le sorelle del nostro Sole. Vivo nel tronco cavo di un albero che ha un milione di anni, che è morto mille anni fa ma si regge ancora in piedi avvolto dall'edera, in mezzo al parco. Ebbene, prima dell'alba di quel giorno, dopo una notte in compagnia di tutte quelle stelle-sorelle, ho aperto gli occhi nel mio tronco, mi sono sgranchito, mi sono dato una scrollata e ho attaccato a correre come la luce verso l'oceano per lavarmi nell'acqua ghiacciata e spumeggiante del bagnasciuga e svegliarmi per bene»
«Io ho sorriso e ho continuato a correre, perché sapevo di avere in serbo una velocità diversa per queste scemenze, ossia la velocità della luce, cioè quella che ho ingranato in quel momento, e sì, diventando luce io stesso, ho stracciato la barca e ho seminato anche quell'uomo nell'accecante bagliore della mia incommensurabile propulsione»
«Saranno stati novecento anni che non dormivo così tanto»
«Sfrecciavo sulla spiaggia, aiutando il mondo a girare»
Il tono iperbolico (dovremmo dire “epico”!), che ricorda tanto quello dei bambini, è specchio di uno sguardo fiducioso e curioso sul mondo. La fedeltà al personaggio è impressionante e ribadita esplicitamente in una nota introduttiva («nessun animale simboleggia una persona. È un’inclinazione della specie umana riconoscersi in tutto… tuttavia, non è il caso di questo libro. Qui, i cani sono cani, gli uccelli sono uccelli…»): Johannes non sa leggere, non sa contare, non sa definire il tempo, non sa cosa sia una montagna, non sa cosa sia una capra e la focalizzazione su di lui ci permette di riscoprire tutte queste cose con i suoi occhi.
«“Che animali sono?” ho domandato. Nessuno lo sapeva. Avevano il manto o il pelo lungo, corna ricurve e quattro zampe – zampe magrissime – e si tenevano in piedi un po’ come i cavalli, anche se la loro stazza somigliava più a quella dei cani di grossa taglia. Ed erano dei gran mangioni. Mangiavano e mangiavano e mangiavano. Era stupefacente quanta erba divorassero»
Johannes ci guida nei suoi giri quotidiani, nelle sue corse spericolate e nelle sue osservazioni sugli umani, sugli oggetti (rimarrà incantato da una mostra fotografica…), ma il romanzo è anche la storia dell’amicizia con gli altri guardiani che con lui condividono il controllo e la custodia della comunità animale del parco: c’è Bertrand il gabbiano coraggioso e integerrimo, Sonja la piccola scoiattolina cieca da un occhio e poi Yolanda la rumorosa pellicano e Angus il procione, uno spasso vivente.
Gli animali sono raccontati e descritti come animali, ma questo non li esime da avere grandi pensieri e da fare profonde riflessioni, come i bambini:
«“Mi dispiace darvi questi problemi,” ho detto. “Ma figurati,” ha risposto Bertrand. “Che altro dovremmo fare? Mangiare pezzi di pane e patatine fritte tutto il giorno? Ci serve uno scopo superiore. E forse quello scopo è tenerti alla larga dai pericoli e farti entrare in quell'edificio bizzarro pieno di rettangoli demenziali.”»
«Helene parlava del Sole non come di Lui ma come di una cosa, e questo mi infastidiva. Ma trovavo ancora più irritante quest’idea assurda, espressa in maniera tanto sfacciata, che il Sole non fosse Dio. O che un fatto talmente indiscutibile diventasse un forse-sì, forse-no»
I commenti degli animali e la loro lettura dei comportamenti degli amici e degli uomini sono schiettamente commoventi e profondamente divertenti (l’ottusità delle anatre è esilarante!), senza nessun cedimento alla retorica. È una scrittura che nella sua franchezza conquista:
«Detta ai procioni, la parola sciò è davvero divertente perché, di tutti gli animali sotto il Sole, i procioni sono quelli che meno degli altri la prendono sul serio. Non riconoscono la validità del termine. Ciò nonostante, gli umani hanno continuato a dire sciò, sciò…»
Tutti questi dettagli, perfettamente cesellati, si intrecciano in una narrazione ben costruita, cinematografica nelle scene che fa sorgere dalle pagine e che racconta di una grande avventura che c’entra con la libertà. Il tema esistenziale del significato di essere liberi, ancora una volta, non è raccontato attraverso pensieri, riflessioni o teorie filosofiche, ma è l’esperienza della libertà come quella che un bambino potrebbe fare: se hai un guinzaglio e sei trascinato in una macchina, non sei libero; poter correre felice verso il mare invece è libertà.
Questo semplice pensiero spingerà gli amici a salvare Johannes, improvvisamente preso ad un guinzaglio, e poi a concertare insieme la liberazione dei tre bisonti, grazie all’aiuto di un gregge di capre che si presterà insieme ai cavalli, ai ratti, ai procioni e agli uccelli ad un piano che ha dell’incredibile.
Nel progettare e realizzare questo rocambolesco e mirabolante piano, ne accadranno di tutti colori: fughe da camioncini in corsa, salvataggi di bambini che affogano, travestimenti, appostamenti, morsi, tane murate, voli pindarici verso la morte…
Il finale è inaspettato: tutto quello che i lettori credevano portasse verso un certo finale viene sbaragliato negli ultimi capitoli con l’impulsività generosa, tipica dei bambini che sanno prendere le decisioni al volo. C’entrerà con “l’impossibile” del titolo?
«Che razza di Occhi sarei se non fossi nel mondo a vedere? Gli eroi vanno avanti. Vivere significa andare avanti. E avanti siamo andati»
Le illustrazioni di Harry Shawn che ritrae Johannes in quadri che sembrano usciti dal ’600 ammaliano sono da incorniciare!
Bello, bellissimo romanzo, spero lo abbiate capito!
P.S. qui trovate un trailer splendido.
P.P.S. in questo articolo si racconta la storia della copertina in bambù dell’edizione limitata.