Se stasera volete leggere un bel racconto di paura potete certamente affidarvi alle parole di Daphne du Maurier.
L’autrice britannica è nota ai più per grandi romanzi d’amore, ma è anche l’autrice fortunatissima di un racconto, Gli uccelli, che uscì in raccolta del 1952 e da cui Alfred Hitchcock prese ispirazione per immaginare uno dei suoi film più celebri, Gli uccelli appunto.
Questo racconto, nell’edizione limitata e meravigliosamente illustrata da Armin Greder per i tipi di Else, è stato per me il primo incontro con l’autrice.
Il racconto è costruito in modo perfetto e crea una tensione narrativa e progressiva che fa scatenare la paura grazie al meccanismo dello stravolgimento ingiustificato di elementi che fanno parte della quotidianità: in particolare, in questo racconto, qualcosa che agli occhi di tutti è inoffensivo (gli uccelli) diventa un pericolo.
Il racconto si apre in medias res e già dalle prime parole intuiamo che ad aspettarci c’è qualcosa di inquietante:
«Il tre dicembre, durante la notte, il vento cambiò e venne l’inverno»
Ci troviamo fuori Londra in quelle che ancora erano le campagne inglesi. Il protagonista, Nat, è un tuttofare con una piccola famiglia che vive non lontano dal mare.
L’inverno lascia il palcoscenico delle parole, affinché l’autrice ricostruisca quelli che reputa i tratti salienti della psiche e del carattere del protagonista che saranno fondamentali nella creazione della tensione narrativa. Nat osserva con pragmatica e inquietudine gli strani comportamenti degli uccelli, ma rimarrà subito isolato per una progressiva incomprensione di tutti gli altri compaesani, si sentirà isolato e quindi sempre più accerchiato dalle sue paure e dai suoi incubi.
«Gli uccelli erano stati più irrequieti che mai nell’autunno di quell’anno e la loro agitazione era ancora più evidente perché le giornate erano calmissime. […] Ce n’erano molti più del solito, Nat ne era certissimo. In autunno seguivano sempre l’aratro, ma non in stormi così folti, né facendo tutto quel baccano»
Il cambiamento è impercettibile: chi noterebbe che gli uccelli sono aumentati di numero? Eppure quella notte qualcosa di inquietante e di terribile accade.
Prima sono solo dei colpetti sempre più decisi ed insistenti: forse una finestra che sbatte, qualcuno che sembra cercare riparo.
«Quando la aprì [la finestra ndr.] vide sul davanzale non c’era più un solo uccello ma cinque o sei; subito lo attaccarono puntando dritto alla faccia. Gridava, colpendoli con le braccia, cercando di disperderli»
Gli uccelli, tutti gli uccelli, anche i piccoli adorabili uccellini di campagna, sembrano aver perso la testa: nella notte attaccano riescono a sfondare la finestra della camera dei due figli di Nat, cercando di accecarli e ferendoli.
Naturalmente i genitori non se ne capacitano, anche perché nessuno del paese crede loro, ma l’angoscia cresce e, alla fine, non è possibile ignorare che qualcosa sta accadendo:
«Fu allora che li vide. I gabbiani. Al largo, cavalcavano le onde. […] Centinaia, migliaia, decine di migliaia… Si sollevavano e ridiscendevano nel solco delle onde, esposti al vento, come una poderosa flotta ancorata in attesa del cambio di marea. Da est a ovest, i gabbiani erano dappertutto. Si vedevano perdita d’occhio, in formazioni compatte, schiera su schiera»
Si innesca un panico strisciante, avanza per ondate fredde e sistematiche come l’oceano. Nat si prepara all’assedio, seppur deriso: sigilla porte, finestre, camini. Arriva la notte e come la marea orde di uccelli assaltano le case: anche a Londra se ne sono accorti, la radio diffonde bollettini di guerra, l’attacco è imprevisto, violento e globale. La famiglia di Nat vive febbrilmente ogni ora, ogni attacco, stretti sui materassi acconciati in cucina alla bell’e meglio. Il rumore costante di ali e becchi che scavano creano orrore e paura: gli uccelli sembrano automi senza altro scopo se non quello di uccidere.
Quando l’alba si leva, lo spettacolo che si rivela ai loro occhi è agghiacciante: la morte è dappertutto. Cadaveri di uomini e donne giacciono inerti tra le case, così come decine e decine di uccelli. Altri uccelli invece attendono, angoscianti, posati su ogni cosa. Attendono. Ma attendono cosa?
Recuperati beni e cibo per sopravvivere Nat e la sua famiglia si rinchiudono di nuovo in casa.
«Gli uccelli più piccoli erano alle finestre, adesso. Riconobbe il picchiettio leggero dei becchi e il frullo sommesso delle ali. I falchi non guardavano nemmeno le finestre. Concentravano l'attacco sulle porte. Nat restò ad ascoltare il rumore del legno che veniva ridotto in schegge e si domandò quanti milioni di anni di ricordi fossero immagazzinati in quei minuscoli cervelli, dietro quei becchi taglienti, quegli occhi penetranti, e che adesso conferivano loro l'istinto di distruggere l'umanità con tutta l'ingegnosa precisione delle macchine. “Mi fumerò quell'ultima sigaretta” disse alla moglie. “Che tonto... è l'unica cosa che mi sono dimenticato di portare dalla fattoria.” Allungò la mano per prenderla, poi accese la radio muta. Gettò il pacchetto vuoto nel fuoco e lo osservò bruciare»
Il racconto si conclude così, senza una fine, lasciando nei lettori un senso di disagio e di paura legato al destino ultimo dei protagonisti: cosa succederà loro? Cosa è successo agli uccelli?
È questo senso di sospensione inconclusa che impregna le pagine e gli animi dei lettori/ascoltatori (è un racconto perfetto per la lettura ad alta voce!).
Aldilà di ogni interpretazione storica (nel suo rapporto con la guerra, ad esempio, o nel rapporto uomo-natura), questo racconto rimane un esempio fulgente di come, ben oltre figure orrorifiche, la scrittura sapiente e curata riesce a raccontare (e a creare) la paura in modo potente e spiazzante.
Nell’edizione con le illustrazioni di Armin Greder, i disegni serigrafati in bianco e nero graffiano e agitano il vento e gli uccelli in un travolgente movimento che amplifica le parole come una cassa di risonanza. Gli occhi orientali dei gabbiani e i volti atterriti di Nat e della sua famiglia nella notte parlano, come fari agghiaccianti.
Questa edizione è un piccolo capolavoro.