L’occhio del lupo è un famosissimo romanzo di Daniel Pennac del 1984 che può vantare un posto di assoluta preminenza nella mia personale biblioteca dei classici del cuore. Un libro che non saprei dire quando effettivamente mi ha raggiunto, ma che mi ha parlato intensamente e che non ho smesso di leggere e regalare come una delle storie più care che ho mai incontrato.
La storia contenuta in questa pagine è triste e, a tratti, struggente e riguarda un bambino e un lupo dal manto argenteo e con un unico occhio sano che cammina instancabile, tracciando i confini limitati del suo recinto nello zoo. Davanti all’accadere monotono di questa marcia forzata e nervosa, eco di una libertà lontana, ad un certo punto, nel mare delle persone distratte e rumorose, un bambino si ferma immobile davanti al lupo.
Incomincia allora un sottile dialogo silenzioso. Pennac ci riporta i pensieri concitati del lupo che, all’inizio, sembrano delle certezze inoppugnabili («Il migliore degli uomini non vale assolutamente nulla»), eppure la tenacia silenziosa senza richieste di quel ragazzo, semplicemente fermo, si fa interlocutoria e la rabbia la confusione, e la frustrazione si trasformano in qualcosa d’altro.
«‘Vuoi guardarmi? D’accordo! Anch’io ti guardo! Si starà a vedere…’ Ma c’è qualcosa che disturba il lupo; un particolare stupido: lui non ha che un occhio, mentre il ragazzo ne ha due. A un tratto il lupo non sa in che occhio del ragazzo fissare lo sguardo. […] Il lupo è maledettamente a disagio; per niente al mondo stornerebbe lo sguardo, di riprendere la marcia non se ne parla. Non è dolore, è impotenza, e collera. Allora il ragazzo fa una cosa curiosa, che calma il lupo, lo mette a suo agio. Il ragazzo chiude un occhio. Ed eccoli là che si fissano, occhio nell’occhio, nel giardino zoologico deserto e silenzioso, con un tempo infinito davanti a loro»
Da questo gesto impensabile tutto prende avvio, perché l’occhio del lupo risucchia il bambino che riesce a leggere, nella sua pupilla nera, la storia di Lupo Azzurro, una storia fatta di persecuzione umana, di inverni rigidi, di madri dal manto fosco, di fratelli dal manto rosso, di lepri, di caribù e soprattutto di una sorella, Paillette, dal manto dorato e dall’istinto letale eppure così annoiata da una vita che sembra sempre uguale a se stessa:
«Ma, contemporaneamente a queste imprese, sbagliava cose incredibilmente facili: rincorreva un vecchio caribù sfiatato e, all'improvviso, la sua attenzione veniva attirata dal volo delle pernici delle nevi. Levava allora gli occhi, le si ingarbugliavano le zampe, sbatteva il muso e la ritrovavano che si rotolava per terra, urlando dalle risate, come un lupacchiotto di primo pelo»
È per salvare lei che Lupo Azzurro si lancia in mezzo all’accampamento dei cacciatori umani: la libera, ma rimane menomato a un occhio e viene imprigionato, destinato per sempre ad una vita dentro lo zoo.
Alla fine del racconto del lupo, Pennac scrive «Tutto è calmo, ora» e questa attesa fiduciosa permette l’ascolto.
Si apre, dunque, il racconto del bambino, il cui nome è Africa, che condivide con Lupo Azzurro una storia non facile. Orfano, inseguito ad un incendio procurato nel suo villaggio, Africa viene affidato ad un mercante e poi venduto come pastore. Eppure in questo primo tratto di strada che sembra così tortuoso, Africa non è mai solo, perché ha due doni preziosi: saper parlare con gli animali e saper raccontare le storie.
Pignatta, il dromedario del mercante, lo ama a tal punto che non fa passo senza di lui, impedendo così al mercante di abbandonarlo nel deserto, poi c’è il ghepardo che lo aiuterà a vegliare sulle pecore e poi iena, il vecchio leone, il gorilla…e poi ci sono le storie perché Africa è capace di accendere il cuore di chiunque lo ascolti.
Dopo varie peripezie Africa giungerà tra le braccia inaspettatamente poderose di una vecchia coppia che, oltre a prendersi per la prima volta davvero cura di lui, gli doneranno una famiglia e lo porteranno con loro, in fuga dalla loro Africa lussureggiante, quando saranno costretti a trovare lavoro in Occidente in uno zoo, appunto.
Lo zoo dove Africa è fermo di fronte a Lupo Azzurro e dove ha ritrovato tutti i suoi amici, che non erano stati disposti a tradirlo in alcun modo, nonostante le bassezze umane. È questa lealtà che, pur non riuscendo a sanare il dolore incommensurabile di nessuno, permette che qualcosa cambi: c’è qualcosa che vale la pena guardare occhi aperti? Clic!
La storia è struggente, perché non cede mai alla tentazione di risolvere o di suggerire una soluzione o un falso lieto fine ai tanti drammi che si affollano in queste pagine, nonostante tutto, però, nulla sembra riuscire a sopprimere la speranza che silenziosa si insinua tra le pieghe e le svolte narrative.
Pennac è maestro nel intrecciare queste due storie lontane (dall’Alaska all’Africa) colorandole dei colori del sole, della neve e dei manti delle capre abissine, destando i profumi lussureggianti della giungla e nello stesso tempo parlando di libertà, di soprusi di coraggio senza che diventino “temi”.
La versione fumetto a opera di Mathieu Sapin nasce da un confronto stretto con Daniel Pennac e rimane molto fedele al romanzo, pur necessariamente perdendo alcuni episodi che arricchiscono il romanzo.
Ho apprezzato l’appendice in cui il fumettista spiega sia l’iter del suo lavoro nel rapporto con l’opera originale, anche perché ha evidenziato quella che per me si poneva come la vera sfida nel passaggio alla versione illustrata.
Non ci sono parole per raccontare certe tragedie, la parola sembra quasi circoscrivere e quindi immediatamente svilire ciò che è accaduto e Pennac, nel romanzo, lascia che il travaso tra il lupo e il bambino avvenga intensamente in una comunicazione che travalica l’oralità, ed è questo effettivamente l’aspetto che ha dato più filo da torcere al fumettista francese!
Di fronte però ad un romanzo intenso e ad un buon fumetto, perché scegliere una versione a fumetti?
Io credo che la possibilità di una rilettura o di letture multiple dello stesso romanzo possano essere molto interessanti, non solo come possibilità di trascinare i lettori più affini al linguaggio del fumetto dentro il romanzo, ma come possibilità di rileggere la stessa storia sotto diversi punti di vista.
Una bella proposta dagli 8 anni.