Se riduciamo Harold e la matita viola all’inno nostalgico dell’infanzia, riduciamo esponenzialmente la portata di questo libro che dopo anni (65 dalla prima edizione americana!) torna a fare capolino sugli scaffali italiani grazie a Camelozampa.
La semplicità non è semplice e nei pochi tratti che Harold tratteggia si racchiude un mondo, uno sguardo e un “ora” per nulla scontati.
Certo ad una prima lettura superficiale l’impressione prevalente è che Harold celebri la forza dell’immaginazione che nei bambini è vigorosa: basta uno spazio personale, del tempo da riempire e un magico pastello viola per trascorrere un pomeriggio pieno di avventure e di giochi. E indubbiamente questa è una grande verità.
Ma all’interno di Harold c’è molto di più e ci sono anche aspetti misteriosi e inquietanti che la semplicità del segno e delle illustrazioni celano, ponendoli davanti agli occhi di tutti.
Per chi non conoscesse questo libro, nato del genio multiforme di Crockett Johnson, la storia ruota intorno ad un silenzioso e pacifico bimbetto in pigiama che con il suo pastello viola disegna e costruisce il suo mondo sulle pagine bianche del nostro libro.
«Una sera, dopo averci pensato su per un bel po’, Harold decise di andare a fare una passeggiata al chiaro di luna».
Quello che si innesca è il viaggio di questo serafico bambino che, pagina dopo pagina, costruisce il suo mondo, passo per passo.
«pensava che ci sarebbe stata bene una foresta. Non voleva perdersi. Allora fece una foresta piccolissima, con un albero soltanto».
Questo procedere per aggiustamenti, decisioni immediate e non pianificate regala a questa storia un andamento sorprendente e ricco di svolte meravigliose.
«mise un drago spaventoso sotto l’albero, a fare la guardia alle mele. Era un drago davvero spaventoso. Spaventò persino Harold, che indietreggiò»
Il piccino vive gli effetti dei suoi disegni, crea le sue emozioni, le subisce e a volte sembra quasi soccombere… Ma il viaggio ha una meta? Dopo aver saziato il suo stomaco vuoto, la nostalgia di casa chiama e Harold cerca la strada del ritorno: dove sarà?
La luna è il suo unico punto di riferimento, un riferimento che si è donato autonomamente perché dal suo pastello viola essa è nata! Harold è nel suo mondo, un mondo che non è indipendente senza Harold: un mondo che lo circonda, ma che non lo aiuta, mai.
«Decise di chiedere a un vigile. [che Harold disegna!] Il vigile indicò la direzione in cui Harold stava già andando».
Tra le mille finestre che Harold disegna solo una alla fine sarà la sua: quale?
La domanda che tutti dovrebbero porsi però è: chi è Harold?
Le proporzioni tra Harold e i suoi disegni variano: è Harold ad appartenere al disegno o è lui stesso a dominare e guidare il segno? Il rapporto non è così chiaro: inizialmente lo scarabocchio che dà origine alla storia sembra occupare una superficie piatta ben più vasta del piccolo Harold e anche il gesto del piccolo protagonista, se a volte è indubbiamente cosciente, in molte tavole sembra invece essere passivo come se il piccino non guidasse il pastello, ma gli fosse semplicemente aggrappato!
Harold insomma vive in una doppia realtà: dentro il libro, coprotagonista di un dialogo visivo con il suo pastello, e fuori dal libro come bambino reale che gioca con la sua immaginazione.
Questa dimensione che gioca sulla metafora del dentro il libro/fuori dal libro è evidente anche nella scelta grafica del tratto essenziale e delle grandi campiture bianche: non vediamo mai la casa a cui Harold vuole tornare (lui parte da uno scarabocchio!) e poi... non viene anche a voi voglia di prendere dei pennarelli e disegnare qualcosa sulle pagine, insieme a lui?
Altro elemento che desta molte domande è il finale: Harold infatti a differenza del suo amico Max che, di ritorno dal Paese dei mostri selvaggi, trova la sua mamma alias la minestra calda ad attenderlo a casa, qui Harold «si fece il suo lettino. Ci entrò e si tirò sopra le coperte». Non ha dunque nessuno ad attenderlo a casa, una mamma, un papà? Esiste una casa di Harold? Sarà forse il libro stesso?
Non sottovalutate questo aspetto di profonda solitudine, perché i bambini potrebbero rimanerne colpiti.
Harold, a mio avviso, è una creatura del libro, è il libro stesso: non lo specchio reale di un bambino che immagina, ma lo sprigionarsi dell’immaginazione stessa, quella che fa pensare a draghi e mongolfiere, quella che si prende gioco di te e ti fa impaurire come un matto, quella che ad un certo punto, stanca della giornata di lavorìo instancabile, si accuccia su un bel cuscino e aspetta che il “suo” bambino lo svegli il giorno dopo per ricominciare a giocare!
Un libro bello, perfetto che mostra la bellezza dei pensieri infiniti e dei fermenti bambini (che sono anche degli adulti eh!), un libro che è il potere dell’immaginazione stessa e che a volte fa paura a volte riempie la pancia di tutti i gusti di torte preferite, ma che in ogni caso ha solo bisogno di un pastello e di un bambino per partire per una passeggiata.
Per tutti.