Una delle cose più tristi del mondo è la solitudine delle persone. Non sarà un assunto dei più originali, ma la coscienza dell’altro come ricchezza, risorsa, possibilità di bene e bello è quanto di più lontano dalla maggior parte dei volti che incontro.
Io lo vedo con disappunto anche in me: spesso la relazione con l’altro è cortese ed educata, ma cosa offre all’altro di me? Spesso una risposta, una soluzione: ma cosa c’è di me in tutto ciò? E soprattutto cosa tocca il cuore dell’altro?
Per i bambini questa paludata apparenza di approccio all’altro non esiste: Saverio è una costante ricerca dell’altro (nonostante sia profondamente timido!) e con l’altro istituisce legami veri, perché lui è tutto lui, in ogni istante: cuore, animo, parole, gesti. È un bambino vivo e vero e lo è perché è amato. Profondamente.
Potrete crederci o no, ma questo disagio esistenziale è raccontato da un bellissimo albo di Oliver Jeffers, Chi trova un pinguino… (come è più bello il titolo originale: Lost and found!).
Saverio adora questo autore e Nei guai rimane uno dei libri che più lo fa ridere e che più apprezza. Io ne amo la genialità sottile e la capacità di far ridere inaspettatamente, ma non lo conoscevo ancora benissimo e questo libro ha avuto la capacità di spiazzarmi (oggi non lo farebbe più!).
La storia narra di un pinguino, un muto e inespressivo pinguino su cui un giorno un bimbo inciampa neanche fosse un birillo. «Ma quello, intanto, si mise a seguirlo OVUNQUE!!!!!». Cosa vorrà mai il pennuto?! Si sarà perso! Il piccolo quindi si dà da fare per trovare una soluzione (atteggiamento moooolto adulto!).
Ma il riso e la svolta sono dietro l’angolo perché, sebbene il nostro eroe mostri un piglio inizialmente adulto, la mossa poi è davvero bambina e jeffersiana: si parte dalla visita all’ufficio oggetti smarriti, si prosegue al porto in cerca di una nave, fino alla decisione finale di usare le proprie forze e riaccompagnare di persona il pinguino al Polo sud.
E qui il nostro eroe torna ad essere bambino fino in fondo: ombrello, cappello e torcia alla mano, seguito dal pinguino muto, si imbarca su una piccola barchetta e inizia a navigare tra onde e tempeste con una placidità contagiosa. «Nel mentre il bimbo raccontava storie senza sosta» e probabilmente sapeva raccontarle molto bene perché i marosi quasi non vengono notati, né dal silenzioso pinguino né da noi lettori. Alla fine raggiungono la meta e tutto sembra volgere al termine: la risposta è stata data (anche se il pinguino non aveva effettivamente chiesto niente!) e il problema risolto. Pinguino depositato, viaggio di ritorno ripreso. Chiuso.
Poi l’imprevisto: il bimbo è triste, nonostante le cose siano a posto. Ma perché mai? Si sente solo. Risolvere i problemi dell’altro non basta, si può essere comunque scontenti. Da qui l’illuminazione: il pinguino non si era perso, si sentiva solo. È la relazione con l’altro ciò che può, almeno inizialmente, riempire il cuore. Così con la libertà e l’immediatezza che sono proprie degli animi puri il bambino fa retromarcia per tornare al Polo e, dopo un paio di imprevisti tutti da ridere, scopre che il pinguino stava facendo lo stesso: lo stava cercando.
E così si ritrovano e si reimbarcano insieme. Tutto è come prima: cappello, torcia e ombrello alla mano ma finalmente i due sono contenti, tanto che perfino il pinguino sembra acquistare parola: «Tornarono a casa insieme, raccontandosi cose meravigliose per tutto il viaggio».
La linea e le figure dell’autore sono riconoscibili con esattezza: espressive, “elastiche”, nette. La scelta dei colori è ciò che colpisce di più: dalle tavole cittadine con colori esposti che sembrano fotografare una città illuminata da un sole freddo e limpido (vicino al Polo?), al mare di notte terso e maestoso, dal bianco saturo accecante e dai colori verde-acqueggianti del ghiaccio polare al nero totale del pinguino, muta e cruciale provocazione. Linea e acquerelli (anche se il mare ha lo spessore delle tempere) collaborano a descrivere ed animare le illustrazioni senza però renderle rumorose, anzi: la scelta costante di non riempire le pagine di particolari crea un’atmosfera capace di far risaltare in modo ancora più efficace la vicenda. Il carattere tipografico scelto per il testo sembra appropriato all’ingenuità degli accadimenti, riconoscibilissima la mano dell’autore nelle scritte di benvenuto al Polo e nell’Ufficio oggetti smarriti.
Definirei il libro provocatorio nel suo ingenuo e genuino invito all’abbraccio dell’altro.
A Saverio è piaciuto molto moltissimo: ha riso, ma ha anche capito il senso della storia, senza però sentire alcuno stridore in sé, lui infatti è un tesoro di bambino che abbraccia già ogni pinguino su cui inciampa!
Hai ragione, semplicemente emozionante!
Semplicemente straordinario ,emozionante…..
[…] che le amiche erano un po’ sulla mia linea d’onda. Chiara ha portato Oliver Jeffers e il suo Chi trova un pinguino, A caccia dell’orso e la seconda puntata de La casa sull’albero, L’isola. Ci siamo ricordate […]