La prima volta che ho sfogliato La città che sussurrò sono rimasta colpita dal risguardo blu elettrico, una scelta energica all’inizio di una storia che la copertina preannunciava cupa. Ho dovuto poi ricredermi sulla storia, non certo sul colore meraviglioso.
Il pregio di questa storia di Jennifer Elvgren è riuscire a parlare del dramma della Shoah con una levità che non è di chi parla d’altro e lascia sullo sfondo la violenza e il dolore, ma di chi riesce a scegliere una prospettiva diversa nel raccontare la stessa cosa. Quando lessi, in V elementare, il Diario di Anna Frank, ciò che mi rimase in mente e che ancora ricordo non fu tanto il racconto della tragedia della persecuzione nazista, quanto piuttosto lo stupore con cui Anna godeva delle piccole cose, i doni, la luce… la strenua certezza di bene e la capacità di godere di ogni attimo della vita. Nel dolore e nel dramma queste persone sono luminose e come loro ce ne sono state tante. La scrittrice americana scova una storia di umanità, di umanità non piegata, che senza alcun tratto di eroismo sa chiamare le cose con il proprio nome e guardare il mondo per quello che è, distinguendo il bene e il male.
Siamo in Danimarca, in una casa dove la carità deve essere familiare, poiché in cantina viene custodita una famiglia ebrea. Il racconto è narrato in prima persona attraverso le parole di Annett, il tempo è passato e siamo nella dimensione del ricordo. La preoccupazione è tangibile e i colori cupi delle illustrazioni, scelti dall’illustratore, amplificano la tensione che sembra contagiare nazisti e non, in un’unica scala di grigi. Annett, la sua famiglia e tutto il paese accudisce come può i perseguitati della cantina, ma i nazisti cercano, cercano, cercano, tanto che si inizia a temere il peggio, però Annett, che ha sperimentato la disponibilità del cuore dei suoi paesani, escogita, con l’imprevedibilità dei bambini, un piano che ha dell’incredibile e che… funziona. Nello scuro della notte e del coprifuoco, saranno le voci a segnare la strada della fuga e della salvezza per mare. Se all’inizio i personaggi, pur parlando, non hanno parole, alla fine con coraggio le parole vengono trovate.
Tutto è lieve, quasi non approfondito, appena accennato, ma questo lascia una sensazione di normalità dimessa che trovo regali un gran carattere a questa storia: il male è banale e il bene è una dimensione propria del cuore di ciascuno. Basta un sussurro per cambiare la storia.
Le illustrazioni di Fabio Santomauro sono narrative, dinamiche, ma forse un po’ calcatamente cupe e uniformi: i rossi, i verdi i blu sono gli stessi in cantina, in casa, all’esterno, nei libri e sulle braccia dei nazisti. Le espressioni sempre sospese, appena accennate, anche nei gesti di grande umanità e affetto lasciano una sensazione amara di fondo, forse coscientemente ricercata nella ricreazione di un momento storico critico e disumano. È un ambiente gelido quello in cui ci si immerge, la luce è bianca e grigia, molte le ombre nere e piatte, il mare è bordeaux, gli unici animali che si intravedono sono le cornacchie.
Un albo illustrato non adatto ai piccoli (io non ho ancora osato proporlo al mio cinqueenne), ma davvero prezioso per parlare alla fascia scolare della Shoah, di come in un mondo gelato dal terrore fare del bene, comportarsi da uomini non coincideva per forza con il gesto eroico, ma come oggi può essere l’offerta di un semplice sussurro di attenzione all’altro.
La città che sussurrò
Jennifer Elvgren - Fabio Santomauro
32 pagine
Anno: 2015
Prezzo: 15,00 €
ISBN: 9788880575740
Grazie, che bel complimento!
Sarà, ma ogni volta che leggo una delle tue recensioni mi viene voglia di procurarmi all’ istante il libro. Sei proprio brava.