Cinquant’anni fa (1974) vedeva la luce Clorofilla dal cielo blu, il secondo romanzo di Bianca Pitzorno, anche se la piccola giovane creatura vegetal-spaziale aveva fatto capolino anni prima, quando una giovane Bianca Pitzorno aveva steso un copione teatrale per la classe elementare dell’amico Luigi, compagno di avventure teatrali.
Bianca Pitzorno è una delle autrici più importanti del panorama italiano per ragazzi, e questo è testimoniato dalla capacità che hanno i suoi libri di parlare con carattere ai bambini e ai ragazzi d’oggi, così come facevano negli anni ’70 e ’80.
Cosa rende unica la sua scrittura?
La ragione è presto detta. La poetica di questa autrice, il motore del suo lavoro si basa su un profondissimo rispetto per l’infanzia, un atteggiamento quasi contemplativo che, anche per storia personale (la Pitzorno non ebbe mai figli suoi), ha permesso che lei ricercasse, approfondisse e coltivasse il rapporto con i bambini e i ragazzi.
Ogni suo romanzo, infatti, nasce proprio nella relazione con un bambino preciso (più che altro bambine!), che l’ha ispirata, ha chiesto esplicitamente una storia o ha destato in lei il desiderio di raccontare, dopo una un’avventura trascorsa insieme.
Eppure al di là di un destinatario molto specifico, queste storie sono capaci di parlare a tutti e sono tantissimi i romanzi che ancora oggi vengono pubblicati come long seller.
Cercherò di raccontarvi la peculiarità di questa autrice attraverso questo romanzo.
Clorofilla dal cielo blu è un romanzo corale, è difficile infatti identificare quale sia il vero protagonista di questa storia, perché la piccola aliena Clorofilla - che dà il titolo al romanzo - non pronuncerà mai neanche una parola lungo tutta la storia!
Intorno a lei, però, c’è una fitta trama di bambini e di adulti che tessono questa avventura.
L’apertura del romanzo ci presenta uno ad uno i protagonisti: da una parte ci sono due fratelli, Francesca e Michele, affidati ad un treno direzione Milano dove raggiungeranno lo zio per trascorrere qualche giorno in sua compagnia, mentre la mamma e il papà sono impegnati in una ricerca speleologica; dall’altra c’è Erasmus, celeberrimo botanico che odia i bambini e ama le piante e che fa parte della Lega dei nemici dei bambini, cani, gatti e animali affini che ha come ispiratore «re Erode, patrono della lega in virtù della famosa strage degli innocenti»; e infine Cesira, la custode del palazzo in cui vive Erasmus, che vive nel piccolo appartamento a lei dedicato insieme alla sua bambina Lorenza.
A questi personaggi si aggiungerà un fantomatico quanto anonimo papà alieno che abbandonerà Clorofilla, una neonata dall’aspetto vegetale, alle cure di Erasmus con la speranza che possa guarirla da una brutta malattia.
I personaggi intrecceranno i loro destini e, per una serie di equivoci, si ritroveranno tutti nella stessa casa, dove lo studioso Erasmus distillerà una miracolosa medicina capace di curare Clorofilla che sta molto male, ma contemporaneamente di far crescere a velocità della luce ogni pianta presente nella grigia Milano dove abitano. I colpi di scena non mancano e rimarrete travolti dalle risate tra foreste che crescono sui palazzi, struzzi usati come motorini, elefanti trasformati in autobus, lettere perdute, zii in vacanza, record da battere….
La lettura di questa storia è scoppiettante, allegra e divertente, queste pagine donano l’impressione di essere sotto un sole chiaro e senz’ombre che rende piacevoli anche le piccole disavventure, non c’è paura, non c’è male, non c’è oscurità.
Bianca Pitzorno ha una scrittura brillante, una capacità sottile di creare l’attesa e di anticipare senza rivelare che attanaglia subito il lettore, lo fa attraverso una sapientissima costruzione dei titoli e dei sottotitoli e con una ironia tagliente che non passa inosservata (vedi re Erode, citato poco sopra!) e che ricorda il dissacrante Roald Dahl.
Il vero protagonista si rivela essere l’infanzia stessa: è il gruppo dei bambini (Clorofilla, Francesca, Michele e Lorenza) che racconta la propria storia e i propri bisogni (di verde e di natura, ad esempio!) nella relazione con gli adulti ottusi e distratti, ma comunque capaci di un riscatto finale.
«Le zitelle, poverette, fedeli ai principi della loro Lega, non avvicinavano più un bambino da tanti e tanti di quegli anni, che non ricordavano più come era fatto. Questo è un errore tattico gravissimo: bisogna avere un’idea molto chiara del nemico, altrimenti si rischia di non riconoscerlo quando lo si incontra. Per questo, quando la signorina Zenaide fu penetrata nel fortino nemico, si precipitò a cercare [i bambini] in tutte le stanze, rovistando negli armadi, sotto i letti, persino nei cassetti del comò, e ignorando completamente Francesca, che la seguiva dappertutto con gli occhi sgranati per la curiosità. Neppure le altre zitelle, scatenate nella caccia ai famigerati bambini, le prestarono la minima attenzione»
Gli adulti sono guardati con gli occhi dei bambini - occhi che corrispondono a quelli dell’autrice -: gli adulti sono bizzarri, sono spesso incomprensibili nelle loro scelte, sono meno affidabili e giusti dei bambini stessi. Esempio lampante sono le madri narrate con una libertà e una diversità esemplare: c’è la madre di Michele e Francesca che li affida liberamente alle cure di altri, la madre di Erasmus che rimane in giro per il mondo dimenticandosi del figlio, le zitelle che odiano i bambini… Nessuna scelta, però, è colpevolizzata, nessuna scelta è stigmatizzata.
«La signora Margherita sapeva di essere un’ottima speleologa, e di essere bravissima a indovinare i colpevoli nei film e nei libri gialli, ma per il resto era cosciente di essere soltanto una donna così così: pessima cuoca, un po’ sbadata e piena dei soliti difetti che abbiamo tutti. Per questo non riteneva di essere la migliore mamma del mondo, non credeva di essere assolutamente indispensabile ai suoi bambini, e che nessuno si potesse occupare di loro meglio di lei. Insomma, non si era montata la testa»
Anche i pareri che, comunque, vengono espressi diventano un interessante filo che attraversa la storia: tutti i pregiudizi che caratterizzano i personaggi sono scardinati. Le zitelle ed Erasmus rivedono i loro pregiudizi sui bambini, Lorenza rivede il pregiudizio su Erasmus…insomma si può cambiare posizione!
A dispetto del titolo e della presentazione tematica che spesso ritroviamo associata al romanzo, il tema “green”, attualissimo oggi come allora, non è esattamente il cuore della storia.
La richiesta e la riflessione sulla necessità di uno spazio verde, soffocato sempre di più dal grigiore e dal cemento della città, è portata avanti in virtù di un bisogno dell’infanzia di vivere uno spazio naturale e libero in cui giocare ed esprimersi e non tanto come un programma politico.
Questa richiesta infatti non è appesantita da una colpevolizzazione né da alcuna moralizzazione: è un dato di fatto posto nella sua esemplificazione positiva. Quando la Milano e il terrazzo di Erasmus si popolano di animali e di verde tutto cambia in meglio!
La storia ha uno svolgimento molto lineare, la lingua è curata e le sorprese non mancano, il tutto in un orizzonte arguto e divertente.
Non mancate di far incontrare la Pitzorno ai vostri ragazzi!