I libri che vi presento oggi sono stati presentati al pubblico, qualche settimana fa, come i più belli dell’anno appena concluso, secondo alcune delle voci più autorevoli nel mondo angloamericano. Il New York Times infatti compila una lista dei più bei libri (picture books/albi illustrati e narrativa) usciti durante l’anno. Tra i 18 libri presentati alcuni sono già arrivati in Italia, altri probabilmente non saranno mai tradotti, altri li aspetto trepidante per i prossimi mesi. Dalla lista ho selezionato 6 libri (3 di narrativa e 3 albi) tra cui si possono identificare libri che ho già recensito su Scaffale Basso e addirittura un libro di Piumini del 1987, Lo stralisco, che approda nel mondo americano con il titolo Glowrushes. I libri mi sembrano accomunati da un’attenzione interessante all’aspetto emotivo: sono tutti i libri di forte impatto che declinano in un modo e nell’altro grandi temi come la morte, la paura, la rabbia, la guerra, la fine del mondo…
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NARRATIVA
Quella del seme è una metafora piuttosto inflazionata che si trova e si ritrova in molti libri, albi e storie specialmente, tra quelli dedicati all’educazione e alla crescita. Grande albero e il sogno del mondo di Brian Selznick è invece qualcosa di totalmente diverso.
Ciò che spiazza, inizialmente, è che, ad una prima occhiata, tutto indica che ci troviamo di fronte ad un romanzo di imponenti dimensioni (siamo intorno alle 530 pagine), invece la grande scoperta è che, intervallate a pagine di testo, vi sono numerose pagine completamente illustrate che conducono – come vedremo – una narrazione complementare a quella del testo, in una modalità molto affine a quella dell’albo illustrato.
La morte di un figlio è un’esperienza di inenarrabile dolore, qualcosa che tocca profondità dell’animo che è difficile immaginare… cosa dunque può spingere un autore a mettere un evento del genere al centro di un romanzo rivolto ai ragazzi?
«“Amico mio, la speranza si perde. Costretti alla sincerità, i medici hanno detto che mio figlio non vivrà a lungo. Il suo corpo, da sempre incerto ospite del mondo, sta per spegnersi. La potente e cieca forza della vita, quella che non mi ha permesso di diventare sordo mentre pronunciavano le parole, che ora non mi lascia impazzire per il tormento, sta abbandonando la sua carne leggera. Amico mio, io non ho mai conosciuto un dolore così grande: nemmeno quando morì Aviget, la sposa del mio cuore. Eppure ne vorrei uno maggiore, perché troppo piccolo mi sembra quello che è in me”»
Roberto Piumini con Lo stralisco, romanzo scritto nel 1987, ci racconta una fiaba robustamente intrecciata agli archetipi fiabeschi, spingendoci di fronte al mistero della morte e della speranza proprio attraverso la storia della morte di un bambino, Madurer.
Il mistero di Windeby di Lois Lowry è un romanzo che non mi ha convinto, soprattutto a confronto con le esperienze esaltanti che ho vissuto attraverso altre sue storie (e poesie).
Lontanissimo da ogni ispirazione distopica, l’autrice racconta di essere rimasta colpita dalle notizie relative al ritrovamento di un corpo in una torbiera in Germania nel 1952 (Il ragazzo di Windeby).
Il corpo, perfettamente conservato dalla combinazione chimica dell’acqua di questo ecosistema, aveva permesso agli studiosi di dedurre numerosi dettagli sulla vita e sulla morte di quella che, inizialmente, fu identificata come una giovane ragazza di 15-16 anni vissuta durante l’Età del ferro.
L’autrice americana, a partire dallo studio di questi documenti, immagina una storia.
Il volume è organizzato in sezioni che riproducono esattamente questo percorso: la prima parte (La storia) racconta questo antefatto reale e riassume i dati delle ricerche storiche su cui l’autrice si documentò, a questa segue poi La storia di Estrild, un racconto ben ambientato all’età del ferro nel villaggio di Windeby, ma che non riesce a creare un pathos sufficientemente coinvolgente, forse anche perché l’esito della vicenda (la morte nella torbiera) è stato anticipato ai lettori.
Seguono, poi, altre due sezioni gemelle e speculari alle prima, perché gli studi degli archeologi rivelarono, in un secondo momento, che il corpo non era quello di una ragazza ma di un ragazzo.
Nella sezione storica la Lowry ripercorre e rilegge le interpretazioni degli oggetti e degli elementi, a partire dalla successive scoperte, a cui fa seguire un secondo racconto (La storia di Varick) che si intreccia al primo, ma che vede come protagonista l’amico di Estrild.
Il volume raccoglie dunque due resoconti storici e due racconti. Questa multiformità non ingrana e lascia ai lettori un senso di frammentazione che, a mio avviso, non riesce ad avvincere il lettore e una prevedibilità che non permette un vero godimento della narrazione.
ALBI ILLUSTRATI
Il teschio è un racconto lungo a firma di Jon Klassen che colpisce perché, rispetto all’ironia sottile, spesso sopra le righe ed esilarante che costituisce la cifra delle sue narrazioni, ha qualcosa a che fare con le fiabe e con il loro potere limpido e intenso di perturbare.
Come racconta l’autore, in una nota in appendice al testo, questa storia è nata in lui in Alaska dopo aver sfogliato un albo illustrato che conteneva un racconto folkloristico tirolese. Nel tempo questa storia si è trasformata, nella testa dell’autore, diventando un racconto autonomo. È lo stesso processo che avveniva nell’antichità con la trasmissione orale delle fiabe.
Di forte impatto emozionale, ma legati all’esperienza autobiografica sono invece due illustrati, Kozo the sparrow e Do you remember? a firma di due autori anglofoni sebbene di età e di origini molto diverse (giapponese naturalizzato il primo e canadese il secondo).
Alley Say, 86 anni, ripercorre, in Kozo the sparrow, un episodio indimenticato della sua infanzia in Giappone.
Questo va sottolineato, perché, aldilà di ogni etichetta facilmente attribuibile ad un libro come questo (“libro sul bullismo”), questo è e rimane un libro di memorie, il racconto di un ricordo che ha segnato indelebilmente la memoria di un ragazzino di 8 anni.
In un quartiere periferico di Tokio, dove si era da poco trasferito, il protagonista viene perseguitato da un gruppo di ragazzini prepotenti che un giorno se la prendono anche con un uccellino caduto dal nido. Il protagonista darà in cambio tutti i suoi tesori più preziosi per poter avere in cambio il piccolo uccellino implume. La storia di cura che incomincia con quella scelta, permette al protagonista di scoprire la propria umanità, di intuire qualcosa della propria identità e del proprio essere. Il racconto quotidiano dei bagni, degli imbeccamenti, dei giochi insieme e degli escamotage pensati per proteggere il piccolo passero sono tanto veritieri quanto teneri. In particolare colpisce l’ambivalente desiderio di insegnargli a volare e la paura di perderlo.
I disegni sono accurati e fotografici e restituiscono la limpidezza di un ricordo vividissimo. È catartico il finale che fa scoprire al piccolo protagonista il valore della libertà, nel riflesso dell’amico passero che viene liberato.
Altro ricordo, altra generazione ma stessa intensa immedesimazione è quella al centro dell’albo Do you remember? di Sydney Smith, giovane autore canadese che firma il suo secondo libro da autore e illustratore.
Il libro è caratterizzato da una bellezza impressionante, capace di intrappolare la luce, creando luoghi calorosi e accoglienti che riverberano e incoraggiano l’emanazione di emozioni e pensieri. Le ombre e la diversa sgranatura delle immagini diventano filtro per far tornare in superficie i ricordi che appartengono – come lui racconta in diverse interviste – ad un vissuto intimamente personale, ovvero quello della separazione dal padre e dalla casa in campagna dove aveva sempre vissuto, in seguito al divorzio dei suoi genitori.
L’albo è ambientato nella penombra di una stanza: una mamma ed un bambino sono sdraiati sul letto, vediamo solo loro volti, vicinissimi, e ascoltiamo il loro bisbiglìo che ripesca dal passato ricordi felici.
«“Do you remember… when we had a picnic in the field? It was just you and me and your dad. You were looking for snakes and bugs while we were talking in that blue blanket. And you came running up to us with something in your hands” “Oh yes, I remember. That’s a good one.Those berries were so sweet! I’ve got one. Do you remember…”»
L’uno e l’altro richiamano alla memoria momenti semplici, banali eppure indimenticabili di gioia e felicità.
Questa nostalgia profonda e questo viaggio nel passato, si trasformano nelle tavole finali in un riflesso, in uno sguardo speranzoso sul futuro: che cosa rende un momento, un ricordo? Cosa scegliamo di ricordare? Come possiamo fermare un ricordo?
Il passaggio impercettibile ma inesorabile scandisce un progressivo schiarirsi della cupezza della stanza: arriva il giorno. Questo bambino alla luce pulviscoalre del sole che sorge chiederà che quel momento possa diventare un ricordo.
La luce e i suoi riflessi riescono a restituire il vibrare commosso, pensieroso e denso delle attese delle persone che la fendono, in un mix di dolore, felicità, speranza preoccupazione attraverso sguardi intensi e non banali. Un illustratore impressionante.