«Non il diario, non la foto di classe

neppure i centimetri o il peso,

di me ne sa più la pelle

di quanto son cresciuto e con che gusto

è tutto scritto qui, è tutto giusto:

la macchiolina chiara sulla spalla,

l'impronta della varicella,

tutte le cadute dalla bici

una dopo l’altra, cicatrici

il graffio del mio cane era un gioco,

il segno del fiammifero

quando ho scoperto il fuoco,

il taglio che mi ha fatto la conchiglia,

nessuno è uguale a me o mi somiglia.

Su gomiti e ginocchi c’è una storia,

se chiedo alla mia pelle

lei la sa a memoria»

Questa bellissima poesia di Silvia Vecchini, presente nella raccolta Poesie della notte, del giorno, di ogni cosa intorno, è dedicata alla pelle e racconta di come sia una mappa unica eppure dettagliatissima della vita e dell’infanzia.

L’ultimo libro di Beatrice Alemagna, Io e Pepper, tocca questa immagine, raccontandoci in modo sorprendente la storia di una bambina e della sua crosta sul ginocchio.

Si percepisce in modo sottile, ma inequivocabile, in quest’ultimo lavoro dell’Alemagna, una libertà che l’illustrautrice si è conquistata, libro dopo libro, e che l’ha portata a poter raccontare le sue storie senza la preoccupazione di mediare o di assecondare il gusto dei lettori.

Faccio questa premessa perché la voce narrante di quest’albo illustrato è una bambina che ci trascina con decisione in uno spazio che, probabilmente, gli adulti definirebbero “schifoso”, un mondo ancora molto legato all’esperienza sensoriale dove ci si tocca, ci si lecca le croste, ci si gratta con decisione, ci si annusa i piedi… in un gusto per la scoperta di sé che forse, con l’età, va svanendo.

«Ieri sono caduta. Sono inciampata in un sasso e sbam. Faccia e pancia a terra. Quando mi sono alzata, il mio ginocchio era tutto graffiato. Che dolore. Bruciava moltissimo. Mi sono messa piangere come una bambina piccola»

Quest’albo si apre con una caduta rovinosa e, vedremo, si chiuderà con un’altra caduta molto diversa. La piccola protagonista viene immediatamente soccorsa: il papà pulisce la ferita e le anticipa che si formerà una bella crosta. Nella mente dei bambini e della piccola protagonista questo non ha un senso molto logico: una “bella” crosta?

«La crosta mi è venuta, ma non era mica bella. Sembrava cuocere lentamente sul mio ginocchio. Come gli hamburger, ma non quelli da mangiare»

Questa immagine che l’Alemagna desta all’improvviso coglie esattamente qualcosa di disgustoso e affascinante e ci riporta a quel mondo schietto dei bambini che molto spesso ignoriamo.

La crosta diventa parte della vita della bambina, all’apparenza di un lungo tratto della vita, perché nell’infanzia i mesi sono infiniti e il tempo di crescita di una crosta può occupare quasi un’era della vita stessa.

«“È molto grande, ma cadrà”. Ah. Quindi anche la crosta doveva accadere, come me. Buffo no?»

Di fronte alla necessità di doversi tenere questo fardello fastidioso appiccicato al ginocchio, la protagonista decide di attribuirle un nome: la chiamerà Pepper come il cane di suo zio.

Non appena la crosta riceve un nome, acquista anche il dono della parola.

«“Vuoi che me ne vada vero?” “Sì per piacere.” “No cara dovrai avere pazienza. Ma poi, che nome orribile che mi hai dato! Non potevi chiamarmi Bella o Perlina, non so, un nome stracarino…?” ha detto»

La convivenza diventa forzata e, quando la bambina parte per le vacanze verso casa dei nonni, Pepper la segue. Il legame diventa così forte che la bambina incomincia raccontare a Pepper - che rimane ai suoi occhi un qualcosa di esterno a sé - i suoi sogni, i suoi desideri… In fondo, se abbiamo avuto degli amici immaginari, perché dovremmo stupirci di parlare con una crosta sul ginocchio?

Eppure nelle giornate noiosissime e lentissime a casa dei nonni, passate quasi a far niente Pepper piano piano si rimpicciolisce.

«Poi, una mattina, è successo. Mi sono svegliata e Pepper non c’era più. […] Nessuno dovrebbe mai partire senza»

Questa nuova caduta, questa volta della crosta, ha un effetto più profondo di quanto ci si immagini: siamo davvero abituati a lasciare andare ciò che ci appartiene, anche se magari ci infastidiva? 

La crosta, tuttavia, come ogni cosa, non se va senza lasciare una traccia di sé, e Pepper da allora - e immaginiamo per sempre - si farà presente nella mente della sua bambina ogni volta che la piccola riguarderà quel leggero segno bianco sul ginocchio e la riporterà a quell’estate splendida passata dai nonni, alle lacrime calde versate per un gran spavento.

La nostra storia, insomma, ce la portiamo tatuata sulla pelle senza bisogno di inchiostro.

Noto un leggero ennesimo cambiamento nell’illustrazione di Beatrice Alemagna: c’è una limpidità, un ordine, una limpidezza che mi sembra impercettibilmente avviarsi verso un nuovo corso illustrativo…

Rimangono però tutti i tratti salienti della sua poetica delle immagini: nessun tratto lezioso, la poetica minuta dei piccoli oggetti che lascia sempre strabiliati, l’attenzione unica ai movimenti dell’infanzia e alla loro riproduzione, la predilezione per i momenti in cui si è assorti, in cui si è soli con se stessi e che sono rappresentati da occhi chiusi, sguardi intensi e pose rilassate.

Una ricchezza di vita interiore che si espande in un calore che emana da ogni pagina.

Di quanti bellissimi piccoli ricordi è fatta la vita di ciascuno! Il tema della perdita, dell’assenza è stato più volte affrontato da Beatrice Alemagna, ma qui si fa un passo in più.

Quanti amici che ci sembra di dover lasciare andare via e che poi ritroviamo nelle tracce intorno a noi e su di noi!

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Io e Pepper Beatrice Alemagna 48 pagine Anno 2023 Prezzo 20,00€ ISBN 9788833701363 Editore Topipittori
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