Sono giorni che me lo domando: ma io ho dei rituali? Non mi sembra. Io sono quella che ogni mattina cambia la sua colazione, sono quella che al bar prende un caffè macchiato, il giorno dopo il cappuccio, il giorno dopo ancora un ristretto… Quando ero studentessa, all’università, e dovevo sostenere gli esami mi vestivo sempre in modo diverso e non avevo talismani. Quando avevo delle gare importanti di equitazione l’unica costante che mi accompagnava era il mal di stomaco :) Eppure da che Saverio ha avuto qualche mese, il rituale della buonanotte è diventato cruciale. Avevo letto a suo tempo il libro di Tracy Hogg, Il linguaggio segreto dei neonati e l’idea che la ciclicità e la prevedibilità delle azioni calmassero e tranquillizzassero un neonato mi aveva persuaso. Così, da quando Saverio aveva solo qualche mese, abbiamo iniziato ad adagiarlo sveglio nella sua cullina e a leggergli delle brevissime storie, permettendogli di addormentarsi da solo. Saverio, all’inizio (piccolo ingannatore!), era un bambino placidissimo: si addormentava beatamente e noi non abbiamo sostanzialmente mai avuto problemi ad addormentarlo. Genitori fortunati, lo so.
Il rituale si è perpetuato: adesso ci laviamo i denti, scegliamo un libro a testa, ci rintaniamo sotto le coperte, leggiamo le nostre storie, spegniamo la luce, accendiamo la lucetta notturna, diciamo le preghiere, un bacio e si dorme. Tutte le sere, tutti i giorni.
Come a sottolineare l’universalità dell’esperienza e come a confermare la validità del metodo “tutte-le-sere-la-stessa-cosa”, l’anno appena trascorso Beatrice Alemagna ci ha regalato un piccolo albo meraviglioso: Buon viaggio, piccolino! Io me lo aspettavo di medie dimensioni, invece è il primo libro di Beatrice che leggo fatto piccolo per bambini moooolto piccoli: dimensioni ridotte, angoli arrotondati, carta ruvida tutta da accarezzare.
Il Piccolino in questione ci racconta a modo suo l’affascinante, affettuoso e confortante rituale della sua buona notte. C’è tutto: la tutina, il carillon, il libro preferito, il ciuccio… Ma soprattutto ci sono le braccia, le mani e gli occhi di mamma e papà, l’ingrediente segreto perché tutto l’ingranaggio della nanna-serena riesca. L’amore paziente, l’amore che cura è ciò che differenzia un meccanico ripetersi di atti e un rituale, come quello che accompagna a riposare. L’elemento di disagio, di paura del buio e del sonno spariscono: tutto contribuisce all’allestimento di quello che sembra il countdown alla partenza di un razzo, all’entrata in orbita di un allegro e vispo astronauta. Evidentemente succede così anche a casa di Beatrice e non lo dico a caso, lo dico perché ho trovato questo albo molto domestico, familiare e con un soffio davvero personale: è come se l’autrice ci facesse sbirciare nella sua sala e nel suo tinello. Nelle mani, negli sguardi della mamma ho visto molto del poco (!) che conosco di Beatrice. Negli spazi mi è parso di riconoscere il gusto delle sue cose. In questo albo infatti accanto al piccolo protagonista ci sono anche molti oggetti: i giochi, le costruzioni, i pannolini, la lampada, il gatto, il tappeto, le tendine… Eppure con un’intuizione, come al solito geniale, le cose non prevalicano, non affollano rumorosamente la pagina e questo grazie ad una scelta tecnica: lo spazio lasciato bianco. Le illustrazioni, indifferenti all’horror vacui, rimangono molto non-finite, aiutando il lettore a guardare ciò che c’è, senza che questo venga automaticamente tralasciato nello sfondo. L’uso della matita colorata risulta assai riuscito in ordine all’effetto. Il colore determina i contorni e tutto, nella disomogeneità della sua stesura, appare vero, vivo, materico e nello stesso tempo preciso e dettagliato: che cuscinetto con i cavallini (?) blu! Che cestino di vimini! Che tazza di pastelli colorati! Che divano a pallini grigi (anche se questo è pennarello)! Li vorrei tutti a casa mia!
Assai interessante è poi il cambio continuo di punto di vista: guardiamo con la mamma il piccolo astronauta dagli occhi pieni sonno (l’espressione che l’autrice è riuscita a catturare è inconfondibile!), ma poi cerchiamo con il piccolino tra i giochi il nostro pesciolino di peluches, lo guardiamo accucciolato nel lettino, ma poi con lui controlliamo la mano della mamma che carica “il motore”. Il testo è descrittivo ed essenziale: una frase, due al massimo, perché le immagini già raccontano tutto. Saverio ha ritrovato le sue abitudini, ha riconosciuto i gesti, ma inevitabilmente non è stato molto coinvolto: è il “libro del bimbo piccolo”.
Infatti Buon viaggio, piccolino! è un libro per piccolissimi, per bambini che ancora non vedono bene, per bambini con la tutina che hanno bisogno di storie brevissime perché se no si addormentano e non sentono la fine (i Topipittori indicano 3 anni, ma secondo me siamo oltre il limite massimo!). Saverio è fuori target, ma ti prometto, Beatrice, che se mai avessi degli altri bambini sarà il primo libro che leggerò loro, così insomma per abituarli a ciò che mi aspetto da loro: lunghi sonni e nanne profonde!
P.S. In quarta di copertina c’è un refuso? “forchetta e coltello”?
P.P.S. E cosa dire della citazione di Piccolo blu e piccolo giallo?
P.P.P.S. A proposito di quest’albo, volevo anche parlarvi del mio disagio riguardante il titolo e il distacco… magari un’altra volta!
capita anche a me di ritornare con i pensieri lì 🙂
Un libro dai colori delicati, con sfondo bianco e questi genitori attenti ai riti della nanna, come una danza. Lo abbiamo amato, ho letto a Gisella questo albo che si legge, dalla copertina, alla quarta di copertina che é quasi un libro a sé, ricco di oggetti di uso quotidiano da indicare e riconoscere. La sera sotto le coperte a leggere parole e immagini, a identificarsi con il personaggio, a dire “anche io mamma”. Delicato e bellissimo! É un libro che mi riporta dolci momenti.
[…] Buon viaggio Piccolino!, Topipittori, 2013 […]
Cara Susanna, per dirti quanto sono invecchiata: il pensiero riguardo al distacco che concepii ormai un anno e mezzo fa… chi se lo ricorda?!?! Ma quando mai ho pensato di lasciare un pensiero in sospeso! La vecchiaia avanza!
Invece il refuso mi fece impazzire “forchetta e coltello” recita il testo, ma l’immagine mostra una forchetta e un… cucchiaio! Io rimasi giorni a domandarmi se per caso Beatrice avesse voluto inserire una citazione, una battuta, un riferimento a chissà cosa. Niente era solo un refuso!!
Sono curiosa di sapere sul tuo disagio rispetto al distacco.
E ammetto di non aver capito quale sia il refuso nelle tre parole che citi.?