Beatrice Alemagna torna in libreria a pochi mesi da Manco per sogno, con un altro libro Addio Biancaneve, un libro che almeno sulla carta sembra lontanissimo da tutto ciò che ha firmato fino ad ora.
Un libro spiccatamente per adulti, scevro - all’apparenza - di un certo incanto sospeso a cui siamo avvezzi, e che si ispira anzi riscrive la fiaba di Biancaneve dei fratelli Grimm, scegliendo di fare propria la voce della matrigna-madre-strega.
«È stato allora che mi è venuta l’idea di ribaltare il punto di vista del testo e costruire un discorso intorno ai temi della sofferenza, della gelosia e della vendetta. Prendere le parti del male per tentare di comprendere la pazzia»
Questo punto di vista è assolutamente provocante e seguiamo i sette nani che sembrano sorgere, nascere come funghi, piante, radici direttamente dalla terra e ci addentriamo nella storia.
L’impostazione della narrazione vuole che alle pagine bianche con il testo seguano poi, a piena pagina, le illustrazioni: è quindi richiesto un addomesticamento dell’orecchio, una memoria che deve farsi custode delle parole per poterle poi ritrovare nelle vaste immagini.
Le tavole che seguono, anche grazie alla rilegatura tibetana che permette una visione quasi senza punti ciechi, regalano un’esperienza immersiva tra colori e volumi. Lo stile di Beatrice - che io ritrovo esattamente sebbene forse espresso con più libertà - è tutto da scoprire come accade sempre nei suoi libri nei dettagli, nella costruzione del focus della pagina, nei cambi di prospettiva. Abituati a una certa compostezza compositiva delle tavole, qui sembra non esserci alcun filtro e le espressioni sgraziate, i tratti quasi grotteschi, i mix inaspettati (riappare il collage) i capelli scompigliati sembrano emanazioni e movimenti quasi inconsapevoli.
D’altronde nelle fiabe i desideri tornano ad essere bisogni, tornano quindi ad una radicalità quasi animalesca e certamente basica dell’essere umano: mangiare, dormire, nutrirsi, sopravvivere… Beatrice si immerge in questa primitività e la riflette nei suoi disegni.
Spesse coltri di tendaggi si aprono o dividono la pagina come se stessimo assistendo ad un avere propria rappresentazione teatrale, nello stesso tempo forse a sottolineare questo impegno con l’illustrazione Beatrice inserisce moltissimi riferimenti pittorici, citati direttamente o in forma di eco, tra le pagine.
Il movimento ad esempio si spezza in sequenze che richiamano il futurismo e che colpiscono per la capacità di mimesi (anche) drammatica che trasmettono: guardate il gesto del cacciatore, ma anche le volute di polvere che si alzano dalla casetta dei nani mentre Biancaneve spazza!
La madre-matrigna splendida nel suo volto e spaventosa allo stesso tempo, adornata quasi fosse una maschera minoica con ricchissimi orecchini finemente intarsiati e un'acconciatura degna di una regina viene stravolta dalla brutalità della violenza che si impossessa di lei.
«Inverno. Una regina. Una regina che non sono io e fiocchi di neve che volteggiano come piume. La regina cuce alla finestra, rapita dalla vista dei fiocchi. L’ago le punge un dito. Tre gocce di sangue ricamano un volto sul bianco»
Il racconto della fiaba segue in modo esatto la narrazione dei Grimm, ma Beatrice anima questo racconto attraverso la voce in prima persona di questa madre matrigna, tormentata dal desiderio di essere preferita, di essere amata, di eccellere, di vedere confermata la sua stessa esistenza che lei circoscrive al fatto di essere la più bella.
Un grido umanissimo eppure completamente malato.
Rispetto a questa donna bruciante nel suo desiderio Biancaneve mostra tutta la sua inconsistenza: quando si ritroverà nella casa dei sette nani, per tre volte, cederà alla sua curiosità assolutamente priva di intelligenza e lascerà che la matrigna attenti alla sua vita.
Tono e illustrazioni sono improntati al magnifico, di quel magnifico irrorato di terrore che avvolge la bellezza più abbagliante con la ferocia e l’irrazionalità.
Biancaneve si salva grazie alla sua bellezza e alla sua giovinezza dai propositi di morte del cacciatore e poi della madre-matrigna. La matrigna mangerà il cuore di un cinghiale, se ne nutrirà avida, come se da quel sangue dipendesse la sua stessa esistenza, animalesca e primitiva come una bestia. Saranno poi i nani a salvare Biancaneve dai lacci stretti che le hanno fatto vomitare l’ultima aria nei polmoni, ma non riusciranno a salvarla dalla mela impregnata d’odio.
I riferimenti freudiani che regolano lo scatenarsi dell’inconscio emergono nelle immagini grazie a metafore sessuali e a rappresentazioni senza filtri in cui la rabbia, il dolore, la violenza possono dare sfogo al loro essere. Questa è la fiaba.
In balia delle azioni degli altri, inconsapevole o acerbamente immune, Biancaneve non appare in nessun modo artefice del suo destino, eppure la fortuna sembra arriderle come ad un povera oca inconsapevole. La matrigna invece avvezza al dolore, alla passione, al bruciante bisogno, si consumerà letteralmente, nel ballo-tortura finale, calzate le scarpe di ferro incandescenti.
Alla fine della lettura - mi sono chiesta - cosa ha voluto raccontarci Beatrice in questo lavoro? Oltre ad aver tradotto con esattezza il cuore di una fiaba fin nei suoi risvolti più crudi e veri, cosa ha raccolto per sé e per i suoi lettori?
Credo che le parole finali, racchiudano potentemente un pensiero per tutti:
«Ridiventare tutto: terra, soffio, nuvola, sasso. Ridiventare nulla»
Si ritorna in niente, tutto ritorna al nulla. Quasi un memento mori che accomuna i destini, normalizza il brutto, il violento e il grottesco, il magnifico di ciascuno, riecheggiando quello strano titolo: Addio Biancaneve, a Dio, arrivederci, ci vedremo al di là di quelle coltri dove i cuori saranno liberi.
Vivi all’altezza delle tue aspettative e non aver paura.