Il mese di novembre, che ho dedicato alla poesia, è coinciso con l’arrivo sulla mia scrivania di un libro da tempo atteso: A scuola con gli albi di Antonella Capetti.
Non un albo, non un romanzo, ma piuttosto un testo teorico (che apre, tra l’altro, una collana di saggistica che seguirò con molto interesse I topi saggi) che racconta l’esperienza di insegnamento che la cara amica Antonella vive in classe (in una scuola primaria), quotidianamente, sfruttando le potenzialità della letteratura per l’infanzia e degli albi illustrati nella sua prassi didattica.
Come dice esplicitamente l’autrice nell’introduzione, quello raccolto nelle 241 pagine del libro non è metodo, ma è piuttosto la documentazione di un lavoro personale legato ad un principio che definisce fondante del suo essere maestra: «mettere il bambino al centro del processo educativo; non un’idea generica di bambino, ma ogni bambino reale che mi trovo di fronte».
Credo che questa introduzione tratteggi fedelmente l’Antonella che conosco io: una persona umile, sempre disposta ad imparare e instancabilmente curiosa, ma contemporaneamente questo saggio dà merito ad un lavoro di riflessione personale sugli argomenti da proporre, sul lavoro da impostare in classe e sul materiale da preparare che testimonia, allo stesso tempo, l’intelligenza e la dedizione di questa donna al suo lavoro.
Lavorare con gli albi illustrati, dunque, non si propone come un metodo infallibile e applicabile in qualsiasi situazione o classe, ma si presenta come il personale approccio che questa maestra, con la sua storia, la sua sensibilità e le sue conoscenze, ha trovato congeniale al suo insegnare. Una passione che ha portato con sé moltissimo studio e altrettanto lavoro e che come ogni cosa curata ed amata ha portato i suoi frutti. Questa è una premessa doverosa, perché non troverete materiali “pronti all’uso” e nemmeno trucchi o indicazioni su come impostare una lezione, Antonella racconta semplicemente quello che ha fatto con i suoi ragazzi, come hanno letto insieme alcuni libri, come da questi siano nate riflessioni (anche grammaticali e metodologiche!) e come abbiano appreso volenterosi di venire a scuola il giorno dopo per ripetere l’esperienza.
Quattordici capitoli che non coprono necessariamente l’arco dei cinque anni, così come non affrontano tutti i nodi grammaticali, ma che affondano la riflessione intorno a motivi inaspettati, eppure ricchissimi: grammatica, letteratura, testualità, biologia, arte… si mescolano in un iter di apprendimento non convenzionale che cura la crescita della persona, nutrendo spirito e intelligenza, istruendo ed educando.
Capita così che le “o” si trasformino in grosse pance di orchi e il lessico venga appreso quasi inconsapevolmente mentre ci si aggira nelle pagine museali ricche di becchi e occhi orientali. Capita che entrare a scuola diventi un gioco per passare da “i”o a “mio” a “noi” o che imparare a disegnare un albero aiuti a ripassare gli articoli determinativi.
E poi capita che la poesia, offerta con naturalezza giorno dopo giorno, faccia nascere nei bambini il desiderio di scrivere, scrivere poesie e capita poi che queste si raccolgano in un libro.
Il testo è davvero ben pensato e si percepisce come il lavoro di scrematura e selezione degli esempi e l’organizzazione del materiale in capitoli sia stato mastodontico, il risultato è un saggio agile, impaginato con l’attenzione di lasciare spazio ai lettori per commenti e note, con un’ottima risoluzione di stampa che non svilisce la documentazione scolastica dei quaderni e degli albi. Le bibliografie in calce ad ogni capitolo sono interessanti, aggiornate (!) e molto utili e si ha la fortuna di incontrare moltissimi albi illustrati, narrati con chiarezza pur nell’orizzonte dell’impiego didattico.
Credo che A scuola con gli albi sia un volume davvero interessante, soprattutto per il tono mansueto di chi vuole fare bene il suo lavoro e non vendere un procedimento, un volume che mette realmente al centro del processo di apprendimento il bambino, quel bambino preciso. In questo senso infatti una didattica che si integri e usi la letteratura illustrata ha dei vantaggi indubbi con ricadute positive in termini di inclusione, soprattutto nei confronti dei soggetti più deboli come gli studenti stranieri (su questo io ho scritto un articolo di taglio scientifico che potete leggere qui) e per questo, a prescindere dall’impostazione metodologica che si usa in classe, ogni insegnante potrebbe trarre giovamento dalla conoscenza di una strada diversa da poter percorrere per guidare i propri studenti alla meta prefissa.
Una strada, quella imboccata da Antonella, non rivoluzionaria, ma assolutamente pertinente ai tempi (pensate alle potenzialità dell’apprendimento della lettura delle immagini!) e totalmente rispettosa della statura e delle risorse dell’infanzia. Il suo lavoro, come quello di ogni insegnante, non è mai finito, per cui seguitela sul suo blog: Apedario!
Vi lascio alle parole di Antonella, che in questa occasione (il mese dedicato alla poesia) ho voluto intervistare proprio su questo argomento. Lasciatevi affascinare dalla semplicità spontanea con cui ne parla e con cui la propone ai suoi ragazzi, quotidianamente.
Perché hai sempre tempo di lavorare sulla poesia? Hai risposto, nel tuo lavoro, citando Chiara Carminati, ma spiegami bene che cosa intendi!
Mi sembra di poter dire che ho sempre tempo di lavorare sulla poesia, o meglio, con, attraverso la poesia, perché essa mi appare ogni volta come uno strumento validissimo attraverso cui non solo sviluppare abilità e competenze linguistiche, ma, soprattutto, parlare con i bambini e far parlare i bambini, tra di loro, con gli adulti e col mondo.
Condivido fortemente il pensiero di Chiara Carminati, che nel suo “Perlaparola bambini e ragazzi nelle stanze della poesia”, Equilibri 2011, afferma l’«[…] idea che la poesia sia il mezzo più potente per esplorare e fare proprie le risorse del linguaggio e che l'acquisizione di queste risorse sia fondamentale per la costruzione di una personalità creativa e l'espressione di un pensiero libero.»
Amo l’idea, che sempre mi rincuora, che la poesia sia un linguaggio che parte da un terreno umile (penso alle ninne nanne, alle conte, alle prime filastrocche) per raggiungere le vette dell’indicibile.
Come il piacere della lettura, e nel nostro caso specifico il piacere della poesia, non viene contaminato dall’uso dell’albo nella pratica didattica?
Il dubbio che il piacere della lettura, o nello specifico della poesia, possa essere in qualche modo sminuito o, come dici tu, contaminato dalla pratica quotidiana dell’utilizzo degli albi in classe, mi sembra sempre una questione strumentale, non a caso posta principalmente da chi non lavora quotidianamente con i bambini e le bambine in classe (generalmente da librai o esperti di settore, in ogni caso mai dagli insegnanti stessi).
Usare -che mi pare un verbo bellissimo ed efficace, ben lungi dalla lettura riduttiva che a volte ne viene fatta- gli albi in classe mi pare sia un diritto di ogni insegnante, che utilizza, per mestiere, tutti gli strumenti a sua disposizione. Per me, insegnante, il libro è anche questo: uno strumento, e come strumento spesso utilizzato. Perché, penso, non utilizzare gli albi, e in generale i libri, se essi mi permettono di svolgere meglio il mio lavoro?
Proprio nei giorni scorsi, un’amica ha definito il libro come una chiave per aprire infinite porte. Così, l’albo, e la poesia, mi sembrano pretesti -nel senso più letterale del termine- per relazionarsi con gli altri parlando, e ascoltando, di sé, e del proprio rapporto con gli altri e il mondo.
Non ultimo, mi piace rimarcare sempre il potere fortemente inclusivo dell’albo, che permette la fruizione e l’interpretazione, da parte di bambine e bambini, di due diversi linguaggi, quello testuale e quello iconico, e che attraverso la lettura ad alta voce da parte dell’adulto chiama a sé tutti i bambini e le bambine, e a tutti si svela.
A tuo parere esiste una poesia per bambini e una poesia per adulti?
Poiché tutti gli adulti sono stati bambini, mentre nessun bambino è ancora divenuto adulto, mi pare che la differenza più evidente e sostanziale risieda nel fatto che non possa esserci corrispondenza biunivoca tra poesia per adulti e bambini, mentre mi sembra sovente vero il contrario, ossia che la poesia definita “per bambini” tocchi spesso corde dell’infanzia degli uomini e delle donne che essi sono diventati. Non a caso, credo che molti adulti che amano la poesia, amino anche quella “per bambini”, o meglio, per i bambini che sono stati.
In classe hai sfruttato moltissimo le potenzialità della rima, ma quando la rima non è presente quali aspetti della parola aiutano i ragazzi ad orientarsi nel testo? Ad un certo punto parli addirittura di «sensazione di assoluta libertà» che la poesia dona: cosa c’entra questo con i testi poetici?
L’assoluta libertà della poesia è quella che Chandra Livia Candiani riassume in poche, semplici parole: In poesia gli asini corrono liberi. Spesso i ragazzi e le ragazze che riescono a utilizzare in modo più immediato ed efficace il linguaggio poetico sono quelli maggiormente in difficoltà con la padronanza del lessico o le strutture della lingua. Al contrario, sono a volte i ragazzi e le ragazze più competenti a fare più fatica nel distacco dalla rima, che a molti pare garanzia della struttura poetica.
Nella mia esperienza didattica, la poesia è stata spesso caratterizzata prima dalla conoscenza della produzione poetica di alcuni autori, alcune autrici di riferimento (su tutti, Bruno Munari, Toti Scialoja, Roberto Piumini, Bruno Tognolini e le tanto amate Giusi Quarenghi e Silvia Vecchini), poi dalla rielaborazione personale scritta di alcuni versi particolarmente significativi degli stessi, spesso attraverso la tecnica del ricalco o dell’anafora. Questo permette davvero a tutti di mettersi in gioco, senza troppe preoccupazioni rispetto alla “prestazione”.
Nella mia pratica didattica, infatti, la produzione poetica non è mai valutata, e questo credo concorra fortemente alla sua presa tanto significativa su ragazze e ragazzi.
Imparare a memoria: che potenzialità ha quest’atto che ormai va perdendosi?
Credo che la più significativa potenzialità dell’imparare a memoria la poesia sia la possibilità di portarla sempre con sé. Proprio per questo sarebbe bello che i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, fossero liberi di scegliere quali poesie imparare a memoria; non la stessa poesia per tutte le alunne e tutti gli alunni di una classe, ma la possibilità di scegliere, tra le molte poesie proposte, quelle per così dire necessarie a ciascuno e a ciascuna, da far risuonare dentro di sé ogni volta lo si desideri.
La poesia sottolinea profondamente la dimensione del presente e quindi è un genere congeniale ai bambini, come hai testimoniato perfettamente con il tuo lavoro Io potrei essere tutto. Secondo te, perché ad un certo punto si associa all’idea di poesia quello di difficoltà, complicazione, oscurità?
Può essere che l’idea di difficoltà associata al linguaggio poetico sia dovuta ad una sorta di “somministrazione” scolastica della poesia, come fosse una medicina: necessaria, anche se spesso poco gradevole, perché lontana dal mondo, dal sentire, dal linguaggio dei nostri alunni e delle nostre alunne, piccoli o grandi che siano.
Credo occorra sciogliere la poesia dai lacci dell’obbligatorietà, e proporla invece come un’opportunità: questo presuppone confidenza, frequentazione, assiduità, che a loro volta richiedono passione e cura.
Nel parlare di poesia non hai taciuto le difficoltà e la paura nel rapportarsi con questo genere da parte dei bambini con qualche difficoltà con la parola scritta. Nella tua esperienza questo panico è superabile?
Forse quello che tu definisci panico è superabile proprio attraverso la frequentazione costante, l’abitudine, la conoscenza. Non a caso, abbiamo paura soprattutto di ciò che non conosciamo. Condivido profondamente quanto scritto da Silvia Vecchini nell’introduzione a “Io potrei essere tutto”, il volume di poesie realizzato nello scorso ciclo, a fine terza: “[…] La poesia ha bisogno di questo tempo supplementare in cui esercitare la riflessione, far risuonare quanto scritto, fermarsi mentre il senso si espande in cerchi sempre più ampi. Ha bisogno di questo spazio in più che questa volta è la possibilità di uscire fuori dall’aula e seguire i bambini all’aperto, nei giardini, nelle auto, nelle case in maniera che anche i genitori (e con loro anche noi) possano goderne e vedere, come attraverso uno spioncino, le stanze dove le intelligenze di questi bambini sono così accolte che si esprimono senza timore, si fanno grandi, coraggiose e forti tanto da dire Io potrei essere tutto.”