Non amo le riscritture delle fiabe. Credo che da questo punto di vista il genere si presti con molta generosità ad essere rinarrato, piegandosi a campagne e battaglie sotto cui ciascuno può sbandierare un testo per fargli dire ciò che desidera.
Ciò che accade di solito è un semplice ribaltamento delle figure archetipiche che mira a smantellare ciò che la fiaba racconta, considerandola con l’accondiscendenza di chi vuol dirle “siamo moderni il punto di vista è cambiato”.
Ecco dunque i lupi che, lungi dal divorare giovani bambine, vengono ridicolizzati e presi a bastonate dalle bambine stesse… nessuna morte, nessuna sconfitta, nessun dolore da proporre ai bambini moderni, se non fosse che poi i genitori sono costretti a ricercare con ossessione libri sulla morte, perché della morte non sanno dire niente.
La grande forza delle fiabe - e ciò che le rende eterne - è invece la loro capacità di raccontare l’umano nelle pieghe più intime del suo essere ed è per questo che le attualizzazioni che la rendono particolare quasi “partitica” sono sempre parziali nei loro esiti.
Quello che fa Annet Schaap con Le ragazze è tuttavia qualcosa di unico, di cui sono felice di parlare.
Sono sette le fiabe che vengono rinarrate dall’autrice nederlandese: Tremotino, Cappuccetto Rosso, Hänsel e Gretel, Enrico di ferro, Barbablù…
Ma ciò che l’autrice fa è qualcosa di estremamente affascinante, perché non si rende portatrice di nessun valore particolare e personale, ma prende spunto dalla solida struttura fiabesca, nei suoi archetipi, e confeziona sette racconti spiazzanti, provocanti, disturbanti, che deviano (non capovolgono, badate!) il punto di vista del lettore, costringendolo a mettere in discussione ciò che sa e ciò che pensava di sapere, come accade nei racconti di Fredric William Brown.
Un singolo episodio, un singolo snodo della fiaba (volutamente non una pedissequa riscrittura di tutta la fiaba!) si fa portare di un significato profondo: accade così nel Ranocchio dove solo il rapporto tra il ranocchio e la principessa è indagato o in Blu dove l’autorappresentazione della donna segue fili profondissimi e cupi della psiche, trasformandosi in un racconto sottilmente orrorifico, ma anche disperatamente verosimile.
Anna e Lize, due sorelle, rivaleggiano in perfezione, e sono destinate a scoprire quale terribile segreto nasconda il Vicario presso cui tutte le ragazze desiderano andare a lavorare, ma dalla cui dimora nessuna esce viva.
«Anna non sa con precisione cosa ci sia lì, deve ancora immaginarselo»
L’azione di Schaap non è un’attualizzazione, ma nella riscrittura moderna che l’autrice fa, queste fiabe, trasformatesi in racconti per una bellezza descrittiva e una fine sapienza che orchestra climax e non detto, diventano portatrici di un valore costitutivo dell’essere.
Sottile e rosso, come la copertina, c’è un unico legame che si può identificare tra i racconti e che dona il titolo alla raccolta: la figura femminile, raccontata in tutte le sue sfumature umane e così poco ideali.
Le protagoniste ottengono una felicità diversa da quella forse idealizzata nelle fiabe, una felicità che è forse più affine alla consapevolezza e alla libertà.
Le domande, che le fiabe allora e questi racconti oggi, affidano ai elettori sono attuali, provocatorie, secche e crude. Nella prima fiaba, ispirata a Tremotino, la ragazza che si piega al patto per ottenere il suo principe alla fine chiede al marito: come mi chiamo?
«Come mi chiamo?»
La domanda echeggia assordante tra le scuse raffazzonate del principe.
È possibile che un marito non sappia il nome della propria moglie. A quanti compromessi scendiamo?
Nella trascrizione di Cappuccetto Rosso, intitolata semplicemente Lupo, siamo di fronte a un lupo che ha accettato, in cambio della sua vita, di rimanere isolato in un parco elettrificato. Il viscidume sottile del guardaboschi ci parla della falsa accondiscendenza e dell’ipocrisia moderna con cui oggi spesso tante volte ci scontriamo:
«Il segnale lo sentiamo anche noi. Nel caso duri troppo a lungo stia certo che arriveremo immediatamente per accompagnarla di nuovo entro i confini pattuiti. Presumo che potremmo farlo senza particolare uso della violenza. Mi creda, siamo contenti di averla nel nostro bosco. Ci piace preservare un pezzo di vera natura selvaggia. Ne abbiamo già persa tanta, no?»
Hänsel e Gretel si trasformano in due bambine abbandonate dal padre,m che non sa gestire il dolore della perdita della moglie, e diventano vittime di due sorelle che le sfruttano, perché con i loro volti facciamo la pubblicità per il loro negozio. Le streghe non sono più vecchie, brutte e nere sono rosa shocking e dai modi mielosamente gentili.
«Le mamme rosa alla fine avevano chiuso Haasje in cucina. Avrebbe potuto rendersi un po’ più utile, perché continuava a divincolarsi da ogni vestitino rosa e si rifiutava di fare un bel sorriso per le foto»
La capacità narrativa dell’autrice è evidente e arricchisce questi testi di ricamate descrizioni ariose, puntuali, precise e sensoriali, ugualmente il talento (che ci aveva già mostrato in Lucilla) nel raccontare la tristezza, quella più profonda, quella che rende tutto umido e freddo intorno a sé rifulge in questi racconti che non lasciano tranquilli.
Ritratti di ragazze, su cui riflettere. Una lettura da proporre oltre i 10 anni.