Il nero non appartiene ai bambini. La simbologia e il riflesso emozionale che porta con sé questo colore fa certamente riferimento alla paura, all’oscurità, al buio, al pericolo ed è per questa ragione che i libri neri sono rarissimi all’interno della produzione per i bambini, fatta eccezione per i volumi dedicati i primissimi mesi.
Eppure il nero è ciò che, nel dialogo e nella contrapposizione con gli altri colori, ce li fa vedere. Non solo, se vogliamo mantenerci all’interno della metafora, l’idea di percepire un po’ di paura permette ai bambini di rielaborare questa emozione e di fare esperienza della resilienza e della possibilità di affrontare il buio.
Aldilà di tutte queste riflessioni che possiamo fare relativamente a questo colore, sono contenta di presentarvi due libri che in modo ludico, ma tutt’altro che scontato ci parlano proprio del nero e del bianco e del loro costante dialogo, sfidante per gli occhi e per nulla scontato come pensiero.
Andata e ritorno è un libro del 1983 frutto dello studio e della riflessione di una importantissima graphic designer americana, nata negli anni ’30, Ann Jonas, che confezionò questa narrazione all’interno di una più vasta riflessione sull’illusione ottica e sulla visualizzazione dell’occhio.
Il testo nasce da un’idea semplicissima: utilizzare il dialogo binario tra bianco e nero per tracciare due percorsi di andata e di ritorno, appunto, all’interno delle pagine. Il libro va letto infatti in una direzione e poi letto a ritroso, capovolgendolo.
Ciò che vi appresterete a leggere è incredibile poiché la composizione dei volumi, delle linee e dei profili ingannano effettivamente l’occhio, in modo quasi perfetto, e ciò che vedrete all’andata è diverso da ciò che vedrete al ritorno, con una coerenza spiazzante.
«Siamo usciti di casa alle prime luci dell’alba»
Questo viaggio, tra ampi campi coltivati che diventeranno ordinati fumi di fabbriche, prati che diventeranno acquazzoni, pali dell’elettricità che si trasformeranno in piloni di sopraelevate e una città vista da diversi punti di vista, ci offre una riflessione sul nostro sguardo, certamente sul fatto che l’occhio abbia una capacità sintetica, riassuntiva che tende a ricercare e ritrovare un senso in quel che vede, anche grazie al supporto e alla forza della parola scritta.
Alla fine del viaggio certamente non si tratterrà un sorriso nella consapevolezza di essere stati ingannati con tale prestigio!
I bambini dai 6 anni ne rimangono incantati.
Sceglie di raccontarci in modo diverso il dialogo tra il bianco e nero Debora Vogrig che con Pia Valentinis ci racconta invece del bianco e del nero più come esperienza quotidiana.
Le tavole infatti si susseguono apparentemente slegate in un dialogo, che è appunto tra il bianco e il nero, e che si snoda tra ragionamenti e giochi, guidandoci ad osservare le loro incursioni in una giornata come un’altra.
«Quando il bianco si sveglia riempie il cielo»
«“No, aspetta!” irla il Nero, “Fermati! Voglio farti vedere una cosa!” “Che cosa?” chiede il Bianco mentre scappa»
La prima esperienza che facciamo del bianco e del nero è sicuramente il riflesso della luce, che mette in fuga il buio. Da quel momento, il narratore sembra spaziare per il mondo - anche se la tavola molto intima della cameretta ci suggerisce che il viaggio che stiamo per fare non è poi così lontano!
Quando la luce invade tutto, il nero si rifugia sotto a letto, ma poi non è vero che rimanga lì: ed ecco dunque Il nero che gioca con la luce artificiale che si intrufola dalla porta aperta e poi fa brillare le strisce pedonali sulla strada. Il gioco incomincia e continua tra gli schizzi del nero della piovra, il bianco e nero del manto del dalmata, le trame chiaroscuro delle betulle, la pantera, le zebre e poi ancora gli scacchi, il pianoforte… e quando scende il nero sulle case ha la capacità di allungare le cose.
Anche qui in fondo abbiamo fatto un viaggio, un viaggio cronologico lungo una giornata, dalla mattina alla sera, giocando col nostro occhio a guardare le differenze e le contrapposizioni che spesso ci fanno vedere le cose stesse.
Serve uno per vedere l’altro!