Colpo d’occhio è un volume fotografico di educazione allo sguardo curato da Alessia Tagliaventi, photoeditor e docente di storia della fotografia, davvero interessante. Se il volume di Joel Meyerowitz, che avevo presentato qualche anno fa, puntava a presentare i grandi fotografi, insegnandoci a leggere le immagini, questo volume, invece, offre uno spunto più diretto al coinvolgimento del lettore e relativo alla capacità che le immagini hanno di narrare una storia.
Il testo, organizzato in 4 sezioni tematiche (personaggi, luoghi, oggetti, animali) offre alcuni esempi, corredati da un puntuale commento che si volge immediatamente a interloquire con il lettore.
«Come è realizzato quello che vediamo?»
«A te, ad esempio, piacerebbe sederti sulla Luna?»
«Riconosci qual è la fonte che illumina la scena e squarcia l’oscurità come un bagliore?»
La prima impressione è che le fotografie all’interno delle diverse sezioni non siano organizzate secondo un criterio: non è utilizzato il criterio cronologico, non è utilizzato un criterio di affinità del soggetto… quello che colpisce è una grandissima varietà di immagini, una capacità e un desiderio, dei diversi fotografi, di interpretare lo stesso tema in modo diverso.
I commenti, nella pagina accanto, oltre a contestualizzare la nascita dello scatto, invitano il lettore a soffermarsi su alcuni dettagli o si rivolgono a lui con delle domande che riguardano l’interpretazione personale della fotografia.
Questo elemento è interessante perché l’autrice attribuisce a queste fotografie un valore che è insito nell’immagine e su cui spesso sorvoliamo: che ruolo ha l’occhio di chi guarda? È così fondamentale recuperare esattamente l’intenzione dello sguardo del fotografo o ogni osservatore che si accosti alla fotografia può darne una sua lettura?
Alice Tagliaferri sembra dare una risposta molto chiara, che si riflette nella varietà dei soggetti e nelle modalità con cui vengono ritratti: le fotografie sono tutte molto diverse per stile per concezione… un universo di sguardi possibili.
Nell’ultima sezione intitolata Le fotografie fanno cose viene offerta lettore proprio questa possibilità - a mio avviso cruciale - per riflettere sul valore delle immagini: mettere in gioco il proprio sguardo per leggere le fotografie e magari far nascere un’altra narrazione delle stesse.
L’autrice infatti ci offre uno spunto di riflessione che riguarda la forza narrativa delle immagini e ci guida a riflettere sulla natura delle immagini come linguaggio:
«possiamo giocare a immaginare quello che la foto non dice: cosa è accaduto prima e dopo lo scatto, cosa c’è a destra e a sinistra, a che cosa pensa quel personaggio, che storia ha quell’oggetto…»
In che modo le immagini sono capaci di raccontare? In che modo le immagini costruiscono una storia?
«Continua tu!» è l’invito che l’autrice fa al lettore, un invito reale, infatti, al libro è allegato un cartoncino nero con un foro tondo: la proposta è quella di riguardare le immagini attraverso questo foro, riflettendo sulle proprie impressioni e sul cambiamento della propria percezione delle immagini.
Vedo le stesse cose? Oppure vedo qualcos’altro? Come questo qualcos’altro contribuisce alla creazione dell’immagine nella sua totalità e come il dettaglio fa la differenza?
E se poi utilizzassi lo stesso cartoncino per guardare le solite cose da cui sei circondato, cosa cambierebbe? Vedresti le stesse cose?
«Puoi usare quello stesso cartoncino anche per esplorare la realtà che hai intorno e vedere come appare il mondo attraverso un foro»
Il libro è molto interessante nell’ottica di un’educazione allo sguardo, un invito non meccanico, anzi critico e che chiede una riflessione sull’esperienza del “vedere”: bisogna dedicare del tempo per riconoscere la bellezza.
Un lavoro sui dettagli per imparare a cogliere il discorso che si intesse in una spazio più ampio.
Dai 9 anni.