Alessia è la libraia di Radice Labirinto ed una mia, seppur lontana, amica e poi è poetessa, narratrice, formatrice... Parlare di Alessia è difficile perché è come addentrarsi nel labirinto di una foresta, per cui vi lascio alle sue parole e vi invito a leggere qualsiasi cosa scriva nel sito della sua libreria e magari a fare un bel viaggio a Carpi per conoscerla di persona.
In questo mese però la ospitiamo con molta gratitudine, in quanto Alessia è una straordinaria narratrice di fiabe.
Vi lascio alle sue parole preziose. Ringraziandola immensamente!
Ha senso leggere delle fiabe, senza che se ne conosca la lingua, intesa come significati narratologici delle diverse figure? E al contrario la stereotipia utilizzata per smontare i pezzi delle fiabe (nella scuola, soprattutto) non è un’azione che allontana la fiaba dai lettori?
Se mi stai chiedendo se ha senso raccontare una fiaba non nella sua lingua originale, la risposta è sì, ha senso. Del resto gli immaginari fiabeschi si compenetrano gli uni negli altri da sempre. Quello che si perde, tutt'al più, non è la capacità di immergersi o immedesimarsi nella storia e nelle figure di un altro universo fiabesco (penso all'immortale Koscej delle fiabe russe o al Gin delle fiabe orientali), ma il suono misterioso e magico delle parole di quella lingua specifica. Ma questo succede anche quando decidiamo di raccontare la fiaba sentita dalla nostra nonna in dialetto, trasponendola in lingua italiana. Più le parole delle fiabe sono vicine alla terra, ai campi, alla lingua viva dei focolari domestici, contadini o pastorali che siano, più riusciamo a cogliere l'incantesimo profondo che le precise parole delle fiabe – il suono di quelle parole - riescono a comunicarci. Nelle scuole si studiano le funzioni individuate da Vladimir Jakovlevic Propp nel suo studio “Morfologia della fiaba” del 1928, un testo sicuramente importante, anche se poi fortemente criticato, per chi si approccia allo studio del genere fiabesco. Io trovo il libro di Propp davvero importante per accendere nel lettore e nello studioso dubbi e domande sulla fiaba, quello che non comprendo è come i bambini e i ragazzi a scuola possano studiare la fabula senza conoscere ormai nessuna fiaba. Sarebbe davvero interessante lasciare che i bambini potessero immergersi a lungo e senza alcuna prescrizione nel racconto orale per poi provare loro a dedurre, in un'ottica strutturalista come quella di Propp se è questo quello che si desidera, le funzioni del fiabesco. A mio parere riuscirebbero senza problemi, mentre l'operazione inversa diventa solo sterile esercizio.
Il linguaggio stereotipato delle fiabe da una parte le rende estremamente rassicuranti, prevedibili, schematiche (la paura è controllata, il caos è temporaneo…), dall’altra la crudezza di alcuni passaggi, le forze originarie che si liberano sono impetuose, anche se vere. Questo, a mio parere, deve essere considerato quando si decide di proporre una fiaba. Leggendo una fiaba si cresce, ci si vede crescere: prima di una certa età questa non è un’esigenza del lettore. Quali sono i lettori ideali delle fiabe?
Prima di tutto devo dire che io non vedo nelle fiabe un linguaggio stereotipato, ma codificato. In linguistica, lo stereotipo indica una locuzione o espressione che si è fissata in una determinata forma e che quindi viene ripetuta meccanicamente e banalizzata. Lo stereotipo può essere per esempio un luogo comune o una frase fatta, un detto proverbiale o una singola parola nella quale si riflettono pregiudizi e opinioni negative. Il codice invece nella terminologia linguistica e letteraria contemporanea designa ogni sistema organico di simboli e di riferimenti che consente la trasmissione e la comprensione di un messaggio, cioè di una comunicazione, il cui senso può essere inteso soltanto se parlante e ascoltatore utilizzano lo stesso linguaggio. Questa distinzione è molto importante perché oggi la fiaba è diventata oggetto di critica in quanto si pensa che veicoli, in particolare, stereotipi di genere sessuale.
La fiaba invece è un sistema simbolico e in quanto tale investe le sue principesse e i suoi principi di un valore ben più alto e pregnante di quanto lo stereotipo voglia farci credere. Il codice poi, ritornando alla tua domanda, rende il linguaggio fiabesco per certi versi rassicurante perché definisce, mano a mano che si frequenta la fiaba - e solo se la si frequenta davvero- , strutture precise in cui potersi aspettare determinate azioni; ma queste azioni sono allo stesso tempo ricche e modulabili su trame sempre nuove, intessute dalla voce che racconta e che rende viva e vibrante anche la fiaba più consolidata. Non c'è dunque personaggio che non sia potente o impetuoso: perfino la principessa più quieta si vede complicare l'esistenza da un fato avverso, ma proprio perché il destino è malevolo, l'eroe è spronato a mettersi in moto, a evolversi, pena la morte. Ma ci tengo a dire che leggendo, o meglio ancora raccontando le fiabe, non si deve per forza crescere. Crescono certamente i personaggi delle fiabe (quando naturalmente non soccombono), cambiano, attraversano boschi, scavano montagne, compiono viaggi, ma chi le fiabe le ascolta non ha un invito esplicito a compiere le stesse imprese. Per prima cosa la fiaba insegna ad ascoltare e ad incantarsi dopo di che quel che ognuno prenderà non si può mai sapere. Caricare la fiaba di un potere catartico o iniziatico a priori vuol dire a mio avviso, togliere a chi ascolta il dono primo che una fiaba ci concede: la libertà di attraversala ogni volta in modo differente. Per questo la fiaba non ha un pubblico di riferimento preciso, ma invita tutti a sospendere - quando se ne ha voglia - il tempo presente per immergersi in un tempo fuori dal tempo guidati più che dal significato dal suono delle parole.
Ha senso leggere delle versioni annacquate di fiabe? Perché purtroppo spesso ai bambini si leggono solo delle versioni modificate degli originali. E non parlo solo di versioni zuccherine, ma mi riferisco in generale all’atto della semplificazione. Mi sono imbattuta recentemente in una riscrittura del romanzo di Lewis Carroll: l’autrice affermava di voler rendere leggibile il romanzo di Alice ad un pubblico moderno. Perché?
In primo luogo, a scanso di equivoci, Alice di Lewis Carroll, non è una fiaba, e lo dico perché forse il paragone non è proprio calzante nel complesso della tua domanda in quanto ritengo, come libraia in costante contatto con il suo pubblico, che l'operazione di semplificazione di un romanzo non prenda le mosse dalle stesse esigenze che spingono gli adulti a scegliere una versione ridotta di una fiaba. Benché certamente ci sia, ahinoi, una tendenza diffusa a non fidarsi più delle parole – diventano improvvisamente minacciose se si allineano una accanto all'altra su una pagina senza figure – la
riscrittura di un romanzo come Alice nel paese delle meraviglie si basa purtroppo su un grande equivoco di fondo: nessuno legge più - o ha mai letto - la versione originale, versione che poi, nell'immaginario collettivo dei genitori e delle insegnanti che vivono in un tempo editoriale affollato di albi illustrati, diventa a priori difficile, ostica, piena di “paroloni”. Se invece si leggesse Alice in versione integrale, non solo ci si accorgerebbe della meraviglia della prosa e dell'immaginazione e dell'umorismo straordinari di Lewis Carroll, ma ci si renderebbe subito conto che di difficile non vi è proprio nulla. Ma come fare se oggi gli adulti, anche quelli che si definiscono appassionati di letteratura per l'infanzia, non leggono più libri per loro stessi? Di questo passo le parole, tutte le parole, diventeranno sempre più lontane e minacciose e io me ne accorgo bene quando vedo i genitori sdilinquirsi davanti ad un albo dal testo sciatto ma con illustrazioni gradevoli. Per quanto riguarda la fiaba invece il punto è che non c'è nemmeno una pietra di paragone con cui confrontarsi! Quante fiabe conoscono i genitori di oggi? Dai miei sondaggi, nel corso delle numerose formazioni condotte tra l'Emilia Romagna e la Lombardia, quando si arriva a 13 fiabe (
mettendo insieme fiaba letteraria, fiaba popolare e film d'animazione) è già un buon risultato. Questa scarsità provoca un effetto boomerang sui libri – o meglio sugli albi di fiabe: li si sfoglia pensando che la fiaba presente nel libro non sia semplificata, ma quella originale. L'edulcorazione invece è poi un discorso a parte.
Le fiabe raccontano dei nodi cruciali della vita e in questo, per chi sa leggerle, rimangono rare espressioni di vita vera e universale che attraversa il tempo, ma davvero non abbiamo più oggi autori che sappiamo parlare al cuore dei lettori nello stesso modo vero? Non è forse pigrizia quella che ci porta a proporre a tutti i costi Cappuccetto rosso ai bambini di 2 anni? Non è forse supponenza (autoriale e illustrativa) quella che dice “io posso raccontarla meglio”?
Se bene interpreto la tua domanda, mi sento di dire che c'è molta differenza tra la fiaba e altri generi letterari. E dico questo perché quando parli di autori contemporanei mi pare che tu non alluda solo ad autori di fiabe. Il concetto di “vero” in letteratura è un concetto molto denso e delicato dato che, di qualunque genere letterario si stia trattando, ci si auspica che gli autori siano sempre “veri” e “autentici”. Che oggi di questi autori se ne senta un po' la mancanza, beh, non posso che concordare. Quando arrivano a Radice-Labirinto i libri che io e mio marito abbiamo selezionato dai tablet degli agenti letterari di turno (davvero una misera cosa non poter più avere il libro tra le mani!), penso sempre al carteggio tra Astrid Lindgreen e Barbro Lindgreen a proposito di un racconto di quest'ultima.
La lettera che la Lindgreen inviò a Barbro – che poi come è noto diventò un'importante autrice di libri per bambini - si può riassumere nelle domanda: “Dov'è il bambino?”. Se invece parli di autori che abbiano voglia oggi di cimentarsi nella scrittura ex novo di una fiaba, posso dirti che una simile operazione è davvero un'impresa molto complessa e difficile, non solo perché ci si confronta con un genere letterario che più affonda le proprie radice nel tempo più diventa vivido, perturbante e potente, ma perché anche gli autori più rinomati spesso hanno fallito. Ritengo che perfino un autore come Italo Calvino sia riuscito a scrivere solo qualche fiaba autografa degna di nota (infatti per lo più sconosciute); e forse ci è riuscito meglio di altri proprio in virtù del fatto che si era provato e confrontato a lungo con il genere fiabesco per arrivare a trascrivere Le fiabe italiane. Devo ammettere, ma questo è un mio parere personale, che per quanto io ami la fiaba “La foresta radice-labirinto” da cui la nostra libreria prende il nome, trovo che sia una fiaba fortemente imperfetta da un punto di vista strettamente letterario. È troppo complessa in alcuni snodi, si aggroviglia tanto quanto la foresta di cui racconta. Poi è magnifica, parla al mio cuore da sempre, ma ne riconosco i limiti specialmente quando tutti gli anni, in occasione del compleanno della libreria, la narro ai miei lettori. Ecco, raccontare una fiaba a memoria, approntando un focolare alla buona dove si può, ti fa subito capire quando hai tra le mani una buona fiaba perché anche la fiaba più complessa, se è una buona fiaba, ti guida nel bosco e non ti fa perdere, compreso il bosco delle parole. Ma quante buone fiabe autografe possiamo annoverare oggi di autori contemporanei? Molte poche in effetti, e credo che la risposta più semplice, anche se per nulla scontata, e che le fiabe sono la risultanza di una sedimentazione durata secoli, il frutto prezioso di un processo che ha scarnificato situazioni, personaggi e luoghi fino a mostrare solo il loro nucleo splendente; un processo passato di bocca in bocca, che ha spolpato le parole del superfluo fino al nocciolo del suono, suono che significa; una sedimentazione che ci restituisce una fiaba bidimensionale dove la prospettiva, così come la terza dimensione del racconto, sono sempre interni a chi narra e a chi ascolta.
Forse oggi non si riescono più a scrivere fiabe perché abbiamo smesso di raccontare o forse perché siamo troppo preoccupati di riempire i racconti dei bambini di significati e sfumature psicologiche. La fiaba non è una seduta psicanalitica, e non è o non deve essere la chiave privilegiata per entrare in contatto con il sé più profondo nell'intento di risolvere paure e drammi. Siamo troppo concentrati su noi stessi per produrre fiabe. Le fiabe sono libere e come ha scritto Giovanna Zoboli in un suo articolo su “Doppio Zero”, la fiaba “dice nascostamente”. Noi invece siamo troppo intenti a disvelarla per rispettarla nel profondo, e quindi, giustamente, lei ci tradisce e diventa finta. Quindi prima di scrivere fiabe, continuiamo a leggere Cappuccetto Rosso tutte le volte che i bambini ce la chiederanno, non per pigrizia, ma perché sia un dono. E dopo Cappuccetto Rosso leggiamo Il Ginepro, La vera sposa, La guardiana delle oche alla fonte, Maria di Legno, L'uccello d'oro...
Le fiabe vanno narrate perché i loro autori furono grandi autori, capaci di distillare la parola e di raccogliere i mille fili della tradizione orale e farne delle storie coese, coerenti. Le fiabe andrebbero narrate e non lette. Quali sono dunque le iniziative editoriali che possono rendere merito a questi autori e a queste storie, secondo te?
Se per grandi autori intendi i contadini, i pastori, le filatrici...allora certamente per onorare una fiaba la cosa migliore sarebbe narrarla a memoria. Le fiabe tuttavia si possono anche leggere, anzi!
Ben vengano gli adulti che si comprano una bella raccolta de Le fiabe Italiane di Italo Calvino o le fiabe di Luigi Capuana o di Giambattista Basile o di Giuseppe Pitrè! Poiché molti focolari si sono ormai spenti, l'unico modo per recuperare un repertorio fiabesco sconfinato è leggere gli autori che si sono presi l'onere e l'onore di trascrivere quelle meravigliose fiabe. Se invece parliamo di audiolibri, un prodotto editoriale poco in voga in Italia ma per me di grandissimo valore, c'è da fare una distinzione importante: gli attori che prestano le loro voci alle fiabe leggono dai testi letterari. Famosissima la raccolta de Le fiabe sonore (oggi si trovano in commercio due raccolte delle stesse edite dalla Fabbri) e le fiabe uscite una decina di anni fa, sempre per la Fabbri, in edicola allegate al Corriere della sera; ma poiché, appunto, l'audiolibro non riscuote grande successo – forse perché siamo legati ad un senso del dovere quando si tratta di leggere ? - non si trovano in libreria fiabe in cd che possano in qualche modo riaccendere la fiamma...dell'immaginazione nelle stanze dei bambini. Per rimediare a questo vuoto noi di Radice-Labirinto stiamo per pubblicare il nostro secondo cd di fiabe.
La particolarità del cd “Intorno al focolare” è che le fiabe non sono lette, ma narrate a memoria. Insomma, buona la prima! Come una volta intorno al focolare. Le fiabe perciò preservano tutte le loro meravigliose imperfezioni: la voce, per esempio, cambia dall'inizio alla fine della fiaba perché la voce si scalda e la tensione cresce; oppure ci si accorgerà che i toni si abbassano improvvisamente quando c'è una svolta particolarmente coinvolgente. La fiaba narrata a memoria è una fiaba, per così dire, umorale. Un attore di professione non potrebbe mai concedersi simili “errori”, anzi si allena molto per togliere difetti di pronuncia o di dizione ( e intendiamoci, non vi è nulla di male in questo); ma io non sono un'attrice, sono una cantastorie.
Cosa significa per te narrare una fiaba?
Significa onorare tutte le vecchine che sono sotto di me e mi tengono sulle loro spalle, come ha ben visto in un suo sogno Clarissa Pinkola Estès - sogno che poi ha trascritto nell'introduzione del saggio “Donne che corrono con i lupi”. Significa abitare la fiaba ad ogni passo, attraversare il bosco insieme a chi mi ascolta perché la fiaba è democratica e non fa distinzioni: è infatti uguale per tutti e ogni volta che la si racconta ci si passa in mezzo ancora e ancora, per un cammino sempre identico e sempre diverso. Il narratore non è seduto più in alto dei suoi ascoltatori perché non deve insegnare nulla, deve solo prestare la voce alle parole della fiaba. Narrare per me significa scegliere con cura le parole o lasciare che le parole scelgano me, dipende. Significa tenere viva la fiamma dell'immaginazione degli adulti e dei bambini, accendere un focolare a cui tutti si possano avvicinare e pensare “lo potrei fare anche io”. Significa spogliare la fiaba del superfluo, restare vigile rispetto ad un mero atto performativo, non volere l'applauso, anzi, quando un bambino si addormenta è un grande dono. Narrare è restare me stessa, sentirmi quieta, non scandagliare il mio animo né di chi ho davanti. Raccontare è ricerca e studio, per poi dimenticarsi quella ricerca e quello studio quando mi siedo sulla seggiola vicino al camino. Narrare è poter dare al futuro un cuore intelligente.
Sì sì mi lasciò parole davvero stupende, da leggere e rileggere. Brava brava Alessia!
Grazie per questa splendida intervista letta solo ora. La rileggerò prendendo appunti e prima di cominciare il corso sulla Fiabe che Alessia inizierà a Febbraio!
Grazie! Alessia è proprio un fuoco!
Bellissima intervista, parole preziose che scaldano il cuore. Grazie!
É stato bellissimo leggere questa intervista…credo chea leggerò ancora molte volte, al mattino a mente fresca x annotarmi riflessioni in modo razionale…e poi la rileggerò di sera quando sarò stanca e mezza addormentata xche il mio cuore di bambina ascolterà l intervista proprio come fosse una fiaba. Grazie mille dell’analisi fine e competente.
Grazie Maria e Alessia per questo splendido dialogo. Quanti spunti nuovi per approfondire un percorso personale e quanta voglia viene, leggendo, di ascoltare Alessia dal vivo mentre narra. Ogni tua parola, cara Alessia, è un tesoro per tutti noi che non ci accontentiamo del banale.