Il bimboleone e altri bambini di Gabriele Clima offre ai lettori un catalogo di bambini e questo inizialmente mi ha lasciato molto perplessa. Non amo infatti i cataloghi che riguardano le persone. Non esistono confini netti quando si parla di un carattere, ma siamo di fronte ad una gamma di grigi infiniti. Quante volte mi sono sentita maltrattata nel sentirmi definire da una parola, un aggettivo che sentivo così distante dalla mia persona? Perché dunque cercare di incasellare e definire un bambino?
Ma poi due dettagli per nulla scontati mi hanno convinto che fosse un libro di cui dover parlare.
Innanzitutto ad ogni categoria di bambino segue un breve testo che incomincia così: «Per far felice…».
«C’è il bimbolepre scattante, veloce, sempre di corsa. “Stai un po’ tranquillo! Fermati un attimo!” gli gridano tutti. Ma lui è un bimbolepre, non lo fa apposta, per lui sono gli altri a essere lenti. Per far felice un bimbo lepre devi… lasciargli un pezzetto di prato in cui correre libero».
In questa galleria i bambini sono rappresentati attraverso gli stereotipi che l’immaginario attribuisce ai diversi animali. C’è quello che non sta mai fermo, quello che si infiamma e prende il mondo di petto, quello riflessivo che sta a guardare: bimbopesce, bimbotoro, bimboscimmia, bimbotalpa, bimboleone, bimbozanzara e così via. Se la narrazione si limitasse a questo sarebbe, a mio avviso, molto parziale: i bambini sanno essere mille animali contemporaneamente, ed ognuno ha un modo personale ed unico di declinare la medesima inclinazione. Tuttavia, la preoccupazione di rispondere alla domanda non posta riguardante la felicità di ognuno dà al testo una originalità che riguarda l’accettazione del bambino e la valorizzazione del suo essere, come a dire: non mi interessa (solo) definire chi sei, ma parto da lì per aiutarti ad essere felice. Ad esempio, la definizione di bimbozanzara che tocca, gira, dà fastidio potrebbe sembrare un giudizio tranchant, ma non lo è se aggiungiamo «per far felice un bimbozanzara devi… dargli un orecchio ogni tanto in cui fare zzz… zzz». Il percorso quindi diventa una sorta di esortazione alla comprensione e all’empatia nel confronti del bambino, nel rispetto della sua natura. Il testo si rivolge dunque esclusivamente agli adulti (anche se può essere un valido supporto per la riflessione sull’identità personale in età scolare), forse in particolare a chi con i bambini lavora, come suggerisce con delicatezza la tavola finale:
«E tu? Tu, dimmi un po’… Che bimbo sei?»
La seconda ragione che mi ha spinto a parlarvi di questo libro sono le illustrazioni davvero bellissime di Giacomo Agnello Modica che hanno la capacità di rimanere impresse negli occhi in modo unico. L’illustratore ci catapulta in un ambiente degli anni Sessanta, con gonne a mezzo polpaccio, pigiami a righe, treccine fermate con nastri, colorate vasche da bagno con i piedini… I ritratti dei bambini sono realistici nel loro energetico disordine (osservate le capigliature) e i gesti sono colti con una naturalezza che lascia esterrefatti, la luce abbacina e colpisce nei suoi confini con le ombre. Gli sguardi, mai rivolti ai lettori, sono colmi di una concentrazione tipicamente bambina e i corpi sono innervati di una energia pacata o straripante che rende le figure vive.
Una cura maggiore poteva infine essere dedicata al lettering (font, interlinea, separazione delle parole...).
Una bella proposta per il regalo alle maestre, che capita a fagiolo in questi giorni di fine scuola, e un illustratore da tenere d’occhio.
Già…
Sono contenta!
Grazie della recensione. Mi ha davvero piacevolmente colpita questo albo come maestra e anche come mamma. Non vedo l’ora di averlo tra le mani.
Sono d’accordo sul lettering. Abbastanza un pugno nell’occhio. Peccato.
Interessante recensione!